L’Italia è un paese con una scarsa memoria storica. Ancora più scarsa è però la memoria della sua storia industriale e dei protagonisti che l’hanno fatta grande, manodopera ed imprenditori. Per quanto riguarda la manodopera, Piero Gobetti definiva aristocrazia operaia gli addetti delle grandi aziende metalmeccaniche dei primi decenni del ‘900. Quelle grandi fabbriche erano fucine di idee, di solidarietà sindacale e di crescita intellettuale (oltreché economica e di conflitti sociali). Ma, per quanto riguarda gli imprenditori (privati), forse non si è mai fatta su di loro una riflessione che non fosse ideologica (per quelli pubblici forse si è ancora fermi al libro Razza padrona di Scalfari e Turani del 1974). Negli scorsi mesi, a questo proposito, potrebbe essere stato emblematico il modo in cui i mezzi di comunicazione hanno ricordato due centenari di nascita quasi concomitanti: quello di Giovanni (Gianni) Agnelli e quello di Saturnino (Nino) Manfredi, dando maggiore enfasi all’attore, piuttosto che al grande industriale e finanziere. E’ un fatto che non dovrebbe destare stupore, in quanto è analogo all’attenzione dimostrata dai media nei confronti di due recenti scomparse di personaggi importanti, avvenute a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, lo scorso autunno: quella di Gigi Proietti, anche lui attore, e del padre gesuita Bartolomeo Sorge, protagonista della Chiesa italiana del post Concilio. Ampiamente ricordato il primo, quasi inosservato il secondo (se non in selezionati circuiti religiosi).
Questo è il contesto nel quale è opportuno fare memoria di un imprenditore quasi dimenticato, Silvio Rivetti, nato il 17 giugno 1921 e tragicamente scomparso il 19 giugno 1961, dopo aver appena compiuto quarant’anni. La sua prematura fine, dovuta ad un incidente d’auto sull’autostrada da Milano per Torino, allora a carreggiata unica, gli impedì di vedere realizzato il grande stabilimento Gft di Settimo Torinese che aveva fortemente voluto. Rivetti e Gft questi nomi forse dicono poco a molti, se non agli addetti ai lavori. Eppure il Gruppo Finanziario Tessile, azienda torinese di Borgo Aurora, nel secondo dopoguerra, è stato protagonista di una crescita economica importante, paragonabile a quella di altre realtà piemontesi, come Fiat e Ferrero. Oggi non sono più conosciuti i suoi vestiti, che allora erano pubblicizzati da Armando Testa, che portavano i marchi Facis o Cori o Sidi. Sono anche spariti i quasi cento negozi che in Italia inaugurarono la stagione dell’abito confezionato e pronto per essere indossato, ugualmente disponibile a Milano come a Palermo. Se una ricca famiglia ha raccontato che vestivano alla marinara, un’intera generazione di figli del boom economico può affermare che si vestiva alla Marus, la prima grande catena italiana di negozi al dettaglio di vestiti di qualità. Ebbene tutte queste realtà appartenevano al Gft che, negli anni di maggior espansione economica ed industriale, arrivò ad occupare oltre diecimila persone, almeno metà delle quali in Piemonte e il resto sparse nel tra l’Italia, gli Usa, il Messico, la Cina e la Tunisia.
Silvio Rivetti era l’anima industriale di quel progetto, costruito insieme ai fratelli Franco e Pier Giorgio, che lasciarono l’antica tradizione laniera della loro famiglia biellese per sviluppare in Italia, e poi perfezionarla nel mondo, la produzione industriale di abiti confezionati. Se oggi è possibile acquistare a Los Angeles, come a Parigi o a Londra, un abito Armani, Valentino o Chiara Boni,… e la moda italiana è conosciuta ben fuori dei ristretti circoli d’elite e delle boutique di lusso, lo dobbiamo alla famiglia Rivetti. La prematura scomparsa dei tre fratelli e di Marco, l’erede più adulto che era loro succeduto alla guida del gruppo, fu una della cause dello spezzatino che venne fatto delle loro aziende. Così Carlo Rivetti, già patron di Stone Island (marchio di abbigliamento maschile casual di alto livello), ora nel gruppo Moncler di cui è socio, figlio di Silvio, che era bambino quando perse il padre, qualche settimana orsono, lo ricordava in un suo articolo per la Voce del Gruppo, il notiziario degli ex dipendenti dell’ormai tramontata azienda di famiglia che, non a caso, si intitola Associazione Gruppo Anziani Silvio Rivetti – ex dipendenti Gft onlus: “Ho avuto la fortuna che il mio papà era molto amato e quindi per lunga parte della mia vita parenti, amici e colleghi me l’hanno raccontato. Doveva proprio essere una persona speciale. Durante la guerra, evase da un campo di prigionia in Polonia. Divenne responsabile, nelle Brigate Partigiane, della difesa delle centrali elettriche di Piemonte e Valle d’Aosta. Il suo lasciapassare partigiano porta i timbri di tutte le brigate, dai comunisti ai monarchici. Corse più volte la Mille Miglia, esplose su un motoscafo. Maestro di tennis, di sci e prese anche il brevetto di volo! Nazionale di golf. Imprenditore visionario e innovativo”.
Ci possiamo chiedere quanto avrebbe potuto ancora dare alla sua famiglia, al Gft e all’Italia questo industriale prematuramente scomparso: non primo e non ultimo di una lunga schiera di imprenditori piemontesi che sono mancati ancora nel pieno delle loro potenzialità, da Edoardo Agnelli senior, figlio del fondatore e padre di Gianni (morto nel 1935, a soli 45 anni) a Pietro Ferrero (mancato nel 2011, a 43), tanto per citare solamente i due estremi temporali di quelle tragiche vicende familiari.