Ai funerali laici di Beppe Fenoglio, ex partigiano e scrittore ateo, 60 anni fa, parlò un prete suo amico ed ex professore, don Natale Bussi, grande teologo albese. Un particolare significativo e poco conosciuto.
Beppe Fenoglio muore, dopo due giorni di agonia, nella notte del 18 febbraio 1963 a 41 anni sull’ambulanza che dalle Molinette di Torino lo riporta alla sua Alba. Lo stronca un cancro ai bronchi, scoperto pochi mesi prima. Nelle ultime settimane gli praticano la tracheotomia e scrive brevi biglietti strappati da un taccuino. In uno, affidato all’amico e filosofo Pietro Chiodi, fissa le disposizioni per i funerali «laici, senza fiori, senza soste, senza discorsi», direttiva che non è rispettata perché alla cerimonia civile ci sono due orazioni funebri. Una di Italo Calvino, altro grande scrittore, e l’altra del prete e teologo albese Natale Bussi, intellettuale molto amico di Fenoglio, di Chiodi e di Cesare Pavese nato, come don Bussi, a Santo Stefano Belbo. L’intervento del prete ha notevole risonanza sui giornali ed è oggetto di aspre polemiche degli ambienti cattolici conservatori che invocano – invano – provvedimenti ecclesiastici contro il prete.
Poco prima di morire, scrive a don Bussi un biglietto: «Ho chiesto a Luciana (la moglie, sposata con rito civile, n. d. r.) se voleva regolare il matrimonio con la Chiesa. Mi ha detto di no. Così ho la coscienza in pace. Ho anche deciso con lei per i funerali civili. Ho sbagliato?». La risposta di don Bussi è inaspettata solo per chi non conosceva la modernità di questo grande teologo: «Quando uno ha trovato la linea verticale quella orizzontale non conta più». Così don Bussi fu autorizzato dal vescovo Carlo Stoppa a tenere l’orazione per l’amico, suscitando un’altra piccola polemica, proprio da Calvino. Ricorda il prete: «Riferii quello che mi aveva raccontato la moglie Luciana e cioè che Beppe, mentre stava entrando in agonia, aveva rivolto gli occhi al crocifisso. Recitai anche l’”Eterno riposo”». A quel punto Calvino si alza e dice ad alta voce: «Fenoglio è morto come uno stoico». Commenta don Bussi: «Lui però Beppe lo conosceva poco, io invece lo conoscevo benissimo. Una volta citai questo episodio a Davide Lajolo in un’intervista televisiva per la Rai, ma lui quando la mandò in onda tagliò proprio quella parte».
Alla figlia Margherita di due anni indirizza una delle ultime lettere, affidata alla moglie Luciana: «Ciao per sempre, Ita mia cara. Ogni mattina della tua vita io ti saluterò, figlia mia adorata. Cresci buona e bella». Benedetta Ferrero, ventenne torinese sfollata ad Alba – la «Fulvia» di «Una questione privata» il più struggente dei romanzi: di esse è innamorato non corrisposto – raccontò: «Mi mandava tante lettere, bellissime. Mi scrisse anche quando dovette andare a fare il militare, e lo mandarono a Ceva e quindi a Roma. Ma le lettere non le ho più. Un giorno mi disse: “Se è vero che non t’importa nulla di me, ridammi le lettere e giurami di non ricopiarle”. Glielo promisi. Le presi e le diedi a don Natale Bussi, insegnate nel nostro liceo e suo grande amico».
Beppe Fenoglio nasce ad Alba il 1º marzo 1922, partigiano, scrittore e traduttore – Al liceo d’Alba, ha tre illustri insegnanti, importanti punti di riferimento di cultura e di vita: Leonardo Cocito, docente di italiano e latino, poi impiccato dai tedeschi; Pietro Chiodi, docente di storia e filosofia, grande studioso di Kierkegaard e di Heidegger, poi deportato in un campo di concentramento; don Natale Bussi docente di religione, un’amicizia che dura, nonostante il laicismo, e che ne rafforza la personalità connotata in senso etico. Fenoglio è arruolato nel 1943. Prima di completare la scuola ufficiali, l’Italia firma l’armistizio (8 settembre), si arrende agli Alleati e la Germania nazista occupa gran parte del Nord. Il suo reparto si disperde: Fenoglio trascorre nascosto alcuni mesi a Roma. Nel gennaio 1944 si unisce ai partigiani. Alla fine della guerra traduce libri dall’inglese e scrive le opere più note mentre lavora per un’azienda vinicola ad Alba. Due i suoi temi principali: il mondo rurale delle Langhe e la Resistenza, ampiamente ispirati alle esperienze personali. Narra la Resistenza senza retorica e senza falsità. Il suo romanzo più noto e considerato il migliore, «Il partigiano Johnny», rimane incompiuto ed è pubblicato postumo nel 1968.
Natale Bussi nasce il 1° febbraio 1907 a Santo Stefano Belbo. Prete dal 29 giugno 1931, delegato dell’Azione cattolica, punto di riferimento dei giovani, cura la rivista «Apostolato di noi preti». Ai giovani mette in risalto l’ispirazione anticristiana del nazifascismo. Sorvegliato dalla polizia fascista, sospettato di aiutare ebrei e partigiani, nel novembre 1944 subisce un breve arresto. Professore di Filosofia e di Teologia nel Seminario albese di cui è rettore (1959-77); teologo del vescovo Carlo Stoppa al Concilio Vaticano II, contribuisce al rinnovamento della teologia italiana traducendo opere dal tedesco e dal francese; studioso di San Tommaso d’Aquino, Matthias Joseph Scheeben, Karl Barth, è grande amico del cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino. Tra i suoi allievi mons. Pietro Rossano, protagonista del dialogo tra le religioni. Collabora al «Documento base sul rinnovamento della catechesi» (1971) e partecipa come esperto al Sinodo dei vescovi «Il sacerdozio-La giustizia nel mondo» (1971). Scrive opere preziose ed è preside dell’Istituto piemontese di Teologia pastorale che fece conoscere il Concilio ai preti subalpini. La cosa incredibile è che non era laureato. Muore il 14 marzo 1988 ad Alba.