«Dopo due fumate nere giornata decisiva per il cardinale Montini?» titola a tutta pagina, sessant’anni fa, «l’Unità» del 21 giugno 1963, primo giorno d’estate. Sarà Paolo VI che il cardinale Joseph Ratzinger definisce «uomo che tende le mani».
Ricordo che un sudario appiccicoso di calore avvolgeva la Pianura Padana in quel venerdì 21 giugno 1963 – festa di San Luigi Gonzaga, «scalzata» quell’anno dalla più importante solennità del Sacro Cuore di Gesù – quando, al secondo giorno di Conclave e al quinto scrutinio, perché l’eletto aveva chiesto un voto di conferma, il bresciano Giovanni Battista Montini (1897-1978), cardinale arcivescovo di Milano, sale al Soglio di Pietro. La sera del 19 giugno ottanta cardinali – 29 italiani – erano entrati in Conclave. L’altro italiano votato è Giacomo Lercaro arcivescovo di Bologna.
Candidato unico, è il naturale successore di Papa Giovanni. Elezione scontata, attesa, rapida. C’era bisogno di lui dopo il lungo pontificato di Pacelli e la breve ma intensissima esperienza di Roncalli. Ci voleva il diplomatico e il credente, il profondo conoscitore di uomini e cose, l’anima inquieta e cercante, il fedele senza appiattimenti e l’intellettuale cattolico, il servitore della Santa Sede e il pastore collocato sulle frontiere del moderno. Su «La Stampa» Luigi Salvatorelli commenta: «La politica di Giovanni XXIII continua con altro stile».
Ma il nuovo Papa – dopo la morte di Giovanni XXIII il 3 giugno 1963 – riprenderà il Concilio? È la domanda che tutti si ponevano nel 1963 alla vigilia del Conclave. Tra le prime decisioni fissa al 29 settembre l’apertura della seconda sessione del Vaticano II. Se Giovanni aveva avuto «dall’Alto» l’ispirazione del Concilio, Paolo ne prende in mano le sorti con vigore e tenacia – ha una volontà ferrea dietro quel viso assorto e quel corpo che sembra fragile e malaticcio –, ne fissa programmi, metodo di lavoro, agenda in quattro punti: più chiara autocoscienza della Chiesa, suo radicale rinnovamento – Roncalli parlava solo di «aggiornamento» –, unità dei cristiani, dialogo a tutto campo con l’umanità. Il suo è un progetto decisamente innovatore e riformista: ecclesiologia comunionale, collegialità episcopale, riforma liturgica, Parola di Dio restituita al popolo, colpo d’acceleratore su ecumenismo e confronto con le religioni, libertà religiosa, colloquio con il mondo che scivola nel secolarismo e nell’indifferenza religiosa.
Personalità forte e riflessiva, Montini è il «Papa del Concilio» e ne prende in mano con decisione le sorti e lo guida con fermezza: vuole garantirsi che le decisioni dei «padri» non entrino in rotta di collisione con le sue profonde convinzioni.
Non è un teologo speculativo, tanto meno «un martello degli eretici». Non è un canonista ma è stato un finissimo diplomatico e un grande pastore della più consistente, ricca di clero e di strutture diocesi del mondo, Milano. Nel cuore è un sacerdote letterato, un direttore di anime e – come afferma egli stesso – «un indagatore del dramma dell’esistenza umana e un iniziato alle sottili e profonde fenomenologie dello spirito». Tanto che l’intellettuale francese Jean Guitton, grande amico e autore dei celebri «Dialoghi con Paolo VI», scrive: «Era continuamente in comunione con le angosce, le complessità, le divaricazioni, le legature e le ferite degli spiriti e dei cuori». Disponibile all’ascolto e al confronto, controlla lo svolgimento dei lavori e riserva a sé gli argomenti più infuocati e delicati – celibato ecclesiastico, sessualità e regolazione delle nascite, Curia e collegialità episcopale – e prende decisioni d’autorità.
Papa Giovanni non faceva mistero che, se fosse stato cardinale, già nel 1958 sarebbe toccato all’arcivescovo ambrosiano succedere a Pacelli, e non aveva risparmiato segni di predilezione: il 15 dicembre 1958 lo colloca primo nella lista dei 23 nuovi cardinali; durante la prima sessione del Concilio lo vuole ospite nei Palazzi Apostolici; il Papa morente sussurra a Montini, accorso da Milano con i fratelli Roncalli: «Le affido la Chiesa, il Concilio, la pace».
La firma di G.B. Montini compare su un’infinità di documenti e istruttorie della Segreteria di Stato. In una sua minuta ci sono le parole pronunciate da Pacelli nell’appello ai governanti e ai popoli il 14 agosto 1939: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Strettissimo collaboratore di Eugenio Pacelli, sbriga gli affari con saggezza ed eleganza. È a fianco di Pio XII accorso a San Lorenzo dopo i devastanti bombardamenti su Roma il 19 luglio e 13 agosto 1943. Crea e dirige un «Servizio ricerche e informazioni» che raccoglie e distribuisce notizie dai fronti di guerra sui prigionieri di ogni Paese – suo collaboratore è il beato casalese Luigi Novarese – e istituisce una «Commissione per i soccorsi» che diventerà nel 1944 la Pontificia Opera Assistenza (Poa).
Nella stagione episcopale a Milano, dalla fine del 1954, Montini incontra la modernità e la civiltà operaia. Nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova centinaia di industriali intraprendenti e milioni di tute blu alle catene di montaggio, nelle fabbriche e nei cantieri aprono la strada al «miracolo economico». Mette la Chiesa ambrosiana in stato di evangelizzazione, la famosa «Missione di Milano» su «Dio Padre» del 1957.
Dopo un Conclave di appena 36 ore, l’eletto proclama il suo programma assumendo il nome di Paolo, l’infaticabile apostolo delle genti. Un pontificato segnato dal Vaticano II: ne decide la continuazione, la conclusione e l’applicazione, mentre i conservatori speravano in una sospensione. In un’assemblea esclusivamente ecclesiastica e maschile introduce i laici e le donne come «uditori e uditrici». Ne affida la gestione ai quattro moderatori, i cardinali Giacomo Lercaro, Gregorio Pietro Agagiagnan, Leo-Joseph Suenens, Julius August Döphner. Lascia libertà di dibattito ma guida con polso il Concilio. Alla costituzione dogmatica sulla Chiesa «Lumen gentium» fa aggiungere la «Nota esplicativa previa» che difende il primato papale, come vuole la minoranza, e la collegialità episcopale, come vuole la maggioranza.
Il Concilio si svolge in quattro sessioni: 11 ottobre-8 dicembre 1962; 29 settembre-4 dicembre 1963; 14 settembre-21 novembre 1964; 14 settembre-8 dicembre 1965.
Il Concilio disegna la «Chiesa dei poveri» e Paolo VI elimina gli ultimi segni del potere temporale, il triregno e la corte papale. Già Giovanni XXIII era consapevole dell’anacronismo del cerimoniale, come confidò il 7 giugno 1960 a padre Roberto Tucci direttore de «La Civiltà Cattolica»: «La Chiesa deve in qualche modo adattarsi ai tempi, e così anche la Curia romana e la corte pontificia. Non ho nulla contro queste buone guardie nobili, ma tanti inchini, tante formalità, tanto fasto, tanta parata mi fanno soffrire. Quando scendo in basilica e mi vedo preceduto da tante guardie, mi sento come un detenuto, un malfattore; e invece vorrei essere il “bonus pastor” per tutti, vicino al popolo. Il Papa non è un sovrano di questo mondo». Racconta come «gli dispiacesse essere portato in sedia gestatoria, preceduto da cardinali spesso più vecchi e cadenti di lui: questo non era neppure molto rassicurante per lui perché, in fondo, si stava sempre un po’ in bilico».
Ma è Paolo VI a dare il colpo di grazia agli orpelli: rinuncia alla tiara, congeda il patriziato, abolisce la corte, scioglie i corpi militari, mette una pietra tombale sullo Stato pontificio; riforma la Curia; pone fine delle carriere automatiche; pensiona i vescovi a 75 anni; esclude i cardinali ultraottantenni dal Conclave; trasforma il Sant’Uffizio nella Congregazione per la dottrina della fede; difende la fede e la vita umana; crea organismi per dialogare con le altre religioni e confessioni cristiane, con l’arte e la cultura. La collegialità episcopale si traduce nell’istituzione il 15 settembre 1965 del Sinodo.
Allora il mondo era a una svolta. Paolo dialoga con i regimi comunisti per far emergere la «Chiesa del silenzio» dalle catacombe e far cessare le persecuzioni. Il 30 giugno 1963 è incoronato, e sarà l’ultimo Papa a ricevere il triregno. Il 2 luglio incontra il presidente americano John Fitzgerald Kennedy, che sta concludendo, con la deliziosa moglie Jacqueline, a Roma il trionfale tour europeo, dopo le tappe a Berlino, Dublino, Londra. L’udienza era già concordata con Giovanni XXIII ma Roncalli era morto il 3 giugno. Kennedy sarà assassinato il 22 novembre 1963 a Dallas e il capo dell’Urss Nikita Kruscev il 15 ottobre 1964 sarà defenestrato.