Pio XII era terrorizzato che nella guerra di Corea – conclusa settant’anni fa con l’armistizio a Panmunjòm il 27 luglio 1953 – gli Stati Uniti usassero l’atomica, come avevano fatto su Hiroshima il 6 agosto e il 9 agosto 1945 su Nagasaki. Da tempo Chiesa cattolica e Consiglio ecumenico delle Chiese invitano a pregare per una vera pace: dopo 70 anni è tempo di trasformare l’armistizio del 1953 in pace.
Il 21 giugno 1950 l’esercito comunista nordcoreano avanza fino 38º parallelo. Kim Il-sung, dittatore nordcoreano, conta sulla sorpresa: i contemporanei Mondiali di calcio in Brasile (24 giugno-16 luglio) dovrebbero distogliere l’attenzione. La Corea del Nord è controllata dall’Unione Sovietica e la Cina di Mao cerca di entrare nella partita; la Corea del Sud è protetta dagli Stati Uniti. L’ordine mondiale sancito dalla conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) rischia di schiantarsi in un’apocalisse nucleare. I comunisti contano 350 mila uomini, 500 carri, 2.000 pezzi di artiglieria. Dalle 4 del 25 giugno 1950 i nordcoreani riversano sugli avversari un diluvio di ferro e fuoco: 10 divisioni di fanteria e una divisione corazzata (120 mila uomini) sfondano la frontiera, occupano la capitale Seul e invadono il Sud che conta meno di 100 mila uomini, mal armati e peggio addestrati; artiglieria pesante inesistente; carri armati antiquati; poche decine di aerei da combattimento lenti e male armati.
Il presidente Harry Truman ordina a marina e aviazione Usa di intervenire. Il 27 giugno, grazie all’assenza di Jakov Malik, delegato sovietico – protesta contro la presenza della sola Cina nazionalista all’Onu – gli Stati Uniti, con la risoluzione 83, strappano al Consiglio di sicurezza un «sì» all’intervento con il voto contrario della Jugoslavia. La forza internazionale, comandata dal generale Douglas McArthur – è composta da: Corea del Sud, Stati Uniti, Australia, Belgio, Canada, Colombia, Etiopia, Filippine, Francia, Giappone (supporto navale), Gran Bretagna, Grecia, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Sudafrica, Thailandia, Turchia. Personale medico forniscono Danimarca, India, Italia, Norvegia, Svezia. La situazione ambientale è durissima: le zanzare a milioni attaccano e trasmettono la malaria. I soldati americani ripetevano quello che dicevano in Giappone: «Il nemico n. 2 sono i giapponesi, il nemico n. 1 sono le zanzare». Gli alleati bloccano l’avanzata comunista e passano al contrattacco (25 settembre-7 ottobre 1950); invadono il Nord; poi ripiegano sul 38° parallelo. Sono coinvolti 5 milioni di soldati e ci sono 2 milioni di morti. L’armistizio di Panmunjòm conferma la divisione senza giungere a un accordo di pace. Gli storici trovano appropriate le tre definizioni «guerra civile, guerra limitata, guerra per procura»
Pio XII, fieramente anticomunista, nel luglio 1949 scomunica i comunisti. Rifiuta di schierare la Chiesa sul fronte occidentalista e di ammantare l’intervento armato con motivi religiosi. Nell’aprile 1949 confida a Wladimir d’Ormesson, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede: «Gli sventurati popoli dell’Est, chiusi in quei Paesi divenuti una prigione, reclamano la guerra per uscirne. Ma una nuova guerra è impensabile: sarebbe apocalittica e non concluderebbe niente. La Prima guerra mondiale e le successive enormi difficoltà hanno generato la Seconda guerra. Cosa diverremmo dopo una terza catastrofe? Bisogna lavorare alla pace ragionevolmente, metodicamente, senza sosta, senza lasciarsi intimidire». Nell’enciclica «Mirabile illud» (6 dicembre 1950) chiede di non ricorrere all’atomica: «L’ingegno umano ha escogitato strumenti di guerra di tale potenza da destare orrore, perché non colpiscono solo gli eserciti, ma travolgono privati cittadini, fanciulli innocenti, donne, vecchi, malati, edifici sacri e monumenti. Chi non inorridirà al pensiero che nuovi cimiteri possano aggiungersi a quelli tanto numerosi del recente conflitto?».
La guerra anti-comunista è una lotta contro il male incarnato da Stalin. Il dittatore sovietico vuole distruggere la civiltà cristiana e «vuole sostituire la dottrina marxista dell’ateismo comunista alla Rivelazione cristiana», scrive il presidente Truman a Pio XII l’11 agosto 1948. Gli Usa vogliono compattare i capi religiosi contro i comunisti. Myron Taylor, rappresentante Usa in Europa, il 21 giugno 1951 scrive a Pio XII e lo invita ad aderire alla crociata anticomunista perché «l’ultima grande risorsa è legare gli uomini di fede in un grande e continuo sforzo per risvegliare i loro simili, rinnovare la loro fede e ispirare la resistenza». Taylor fa balenare la possibilità che a Pio XII sia riconosciuta la guida spirituale del mondo libero: «Può essere che un giorno vostra Santità trovi opportuno assumere la guida di una causa così meritevole per salvare il nostro mondo civilizzato dalle prove più grandi». Pacelli non ha bisogno che lo convincano sui pericoli del comunismo e sulle persecuzioni contro la Chiesa che accompagnano l’espansionismo comunista. Per Truman si tratta «di preservare non solo la nostra eredità religiosa, le nostre vite e il nostro Paese ma anche una civiltà mondiale nella quale la fede possa sopravvivere. Davanti al comunismo gli uomini di fede devono lasciar da parte le divergenze». Ma i capi religiosi non aderiscono alla «crociata per la pace contro le armate dell’irreligione». Per lo ieratico Pio XII il comunismo totalitario minaccia la sopravvivenza della Chiesa: «L’umanità è divisa in due gruppi nettamente separati. Quelli che, a torto, considerano la Chiesa come una qualsiasi potenza terrena o un impero mondiale, le chiedono la rinunzia alla neutralità e l’opzione a favore dell’una o dell’altra parte. La Chiesa non può rinunziare alla neutralità per la semplice ragione che non può mettersi al servizio di interessi politici».
Apparentemente l’armistizio è una conclusione senza vincitori né vinti. In realtà la divisione al 38° parallelo è considerata dagli Usa una quasi sconfitta e dai comunisti una sostanziale vittoria. Mao la definisce «vittoria di enorme significato». È giunto al potere nel 1949; aveva occupato il Tibet 1951 – l’invasione e dominazione cinese durato da oltre 70 anni – e sognava di consolidare il proprio controllo sull’estesissima regione asiatica, cominciando dalla Corea. Il prof. Gastone Breccia definisce la guerra di Corea come un «gioco di specchi»: tre anni di sanguinosissimi scontri per tornare là da dove era partita, il 38° parallelo. Mao esce vincitore dal conflitto, si scrolla dalle spalle il ruolo subalterno all’Unione Sovietica. Oggi l’immensa Cina di Xi Jinping, la Russia di Vladimir Putin e la Corea del Nord di Kim Jong-un sono tra le peggiori «prigioni a cielo aperto» del mondo.
Pier Giuseppe Accornero