«L’anno prossimo a Gerusalemme» era l’augurio che gli ebrei della diaspora si scambiarono per quasi duemila anni alla festa di «Pesach», Pasqua ebraica. Dalla «Guerra dei sei giorni» (5- 10 giugno 1967), l’augurio si è avverato con la conquista di Gerusalemme Est, settore giordano. Il Parlamento israeliano (Knesset) il 30 luglio 1980 proclama Gerusalemme capitale unita, indivisibile, eterna dello Stato di Israele, che è proclamato 70 anni fa, nella notte tra il 14 e il 15 maggio 1948.
Dietro c’è il sionismo, l’aspirazione ebraica di tornare a Sion, il colle del Tempio di Gerusalemme. Alla fine dell’Ottocento diventa un movimento politico per la costituzione in Palestina, terra dei padri, di uno Stato ebraico. Prende esempio dal Risorgimento italiano che unifica e libera la Penisola. Foraggiato dai banchieri ebrei anglo-tedeschi Rothschild, il sionismo ha in Theodor Herzl, autore di «Lo Stato ebraico» (1896), il suo teorico. Nel congresso di Basilea (1897) decide di favorire l’emigrazione ebraica in Palestina per crearvi uno Stato indipendente e chiede appoggi e aiuti ai governi europei. Vengono fondati il Jewish Colonial Trust, banca con sede a Londra, e il Fondo nazionale ebraico.
Dai primi anni del Novecento gli ebrei si insediano in Palestina sotto la spinta del sionismo: l’Inghilterra, bisognosa dell’appoggio degli facoltosi giudei, considera favorevolmente lo Stato ebraico. Nel 1914 sono centomila le presenze ebraiche in Palestina con 50 «kibbuz», colonie agricole. Durante la prima guerra mondiale la Gran Bretagna, con la dichiarazione di Balfour nel 1917, appoggia la colonizzazione. Con il crollo dell’Impero ottomano nel 1918, la Società delle Nazioni nomina Londra «mandataria» con l’incarico di gestire quel ribollente territorio. Negli anni Venti gli insediamenti ebraici aumentano e provocano scontri con gli arabi. Nasce anche l’idea di costituire una comunità binazionale, araba ed ebraica. La comunità ebraica si radica sempre più, anche con la nascita di scuole, istituti scientifici e di un’università. Le comunità agricole, poi, forniscono un nuovo e riuscito modello di organizzazione socioeconomica di ispirazione socialista.
Dopo la seconda guerra mondiale e dopo l’Olocausto degli ebrei il sionismo raggiunge il proprio obiettivo storico. In Europa si concentrano centinaia di migliaia di ebrei scampati ai massacri nazisti e la cattiva coscienza, a causa dell’Olocausto, spinge a favorire l’emigrazione verso la Palestina. Per contrastare l’amministrazione britannica i terroristi sionisti di «Haganah, «lrgun» e «Banda Stern» provocano attentati contro gli inglesi che nel 1947 rimettono il mandato e migliaia di arabi fuggono in Giordania.
In questo contesto si colloca l’epopea della famosa nave «Exodus» (nome biblico). Acquistata nel 1946 per il trasporto degli ebrei dalla Francia ad Haifa, la vecchia nave da crociera è ormeggiata nel porto americano di Baltimora. Parte nel febbraio 1947 con 40 giovani ebrei americani volontari e attraversa l’Atlantico issando la bandiera con la Stella di David. A Séte in Francia imbarca 4.554 profughi che, dopo parecchie disavventure, raggiungono la Palestina nel 1948.
Il 29 novembre 1947 la svolta. A New York l’assemblea delle Nazioni Unite approva il «Piano di partizione della Palestina» (risoluzione 181) cioè la divisione della Palestina fra arabi e israeliani, cosa che Israele non ha mai fatto. Lo Stato arabo ha, secondo il progetto Onu, il 42,8 per cento della superficie con 800 mila arabi e 10 mila ebrei; lo Stato ebraico ha il 56,4 per cento del territorio con 500 mila ebrei e 400 mila arabi; Gerusalemme e i Luoghi Santi, una zona separata sotto amministrazione Onu. Il rifiuto del piano da parte degli arabi e il deterioramento dei rapporti provocano la prima guerra arabo-israeliana (1948-1949), aggravata dalla nascita dello Stato di Israele, proclamata dal governo di David Ben Gurion che elegge Chaim Weizmann presidente della Repubblica. I Paesi Arabi sono furiosi. I palestinesi – sostenuti da Egitto, Giordania, Siria, Libano, Iraq e Arabia Saudita – non accettano la spartizione e si buttano a combattere. La Legione araba giordana, addestrata dagli inglesi, occupa la parte orientale di Gerusalemme. Gli ebrei, molto ben equipaggiati, ricevono armi dall’Est Europeo e il conflitto volge a loro favore. I combattimenti proseguono fino all’11 gennaio 1949.
La prima guerra arabo-ebraica provoca l’esodo da Israele di 750 mila palestinesi su un milione e mezzo di abitanti: 350 mila ripararono in Giordania, 200 mila nella Striscia di Gaza, 100 mila in Libano, 60 mila in Siria e 40 mila in Iraq. I rifugiati vengono smistati nei campi profughi costruiti dagli Stati arabi, dove sono considerati «esiliati apolidi» senza alcun diritto: solo la Giordania concede loro cittadinanza e diritto al lavoro. Gli altri Paesi arabi utilizzano i palestinesi come arma di pressione su Israele e l’Onu.
L’11 dicembre 1948 la risoluzione 194 dell’Onu riconosce il diritto dei profughi palestinesi di tornare nelle proprie case, oppure di ricevere un risarcimento. La «legge del ritorno» del 1950 fissa il diritto di ogni ebreo di stabilirsi in Israele. Molti vedono nella politica sionista di Israele una forma di colonialismo e di discriminazione dei palestinesi arabi. Una discussa sentenza dell’Onu del 1975 condanna il sionismo come «razzismo e discriminazione razziale». Dopo la guerra del 1967 altri 250 mila palestinesi si riversano dai territori occupati (Cisgiordania e Gaza) soprattutto in Giordania e in Libano. La questione dei profughi torna alla ribalta nel 1969: l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), guidata da Yasser Arafat, e altre organizzazioni scelgono la guerriglia.
Lo scontro israeliani-palestinesi coinvolge gli Stati arabi in vari conflitti, i più complessi, duraturi e pericolosi della storia contemporanea, incidendo sul prezzo del petrolio, sull’economia mondiale, sul terrorismo internazionale. Se da un lato Israele non può e non vuole cedere, dall’altro lato i primi nemici del popolo palestinese sono i Paesi arabi tutti, a eccezione della Giordania, dominati da dittature.