Siamo dinanzi ad una siccità senza precedenti e ad una crisi idrica come mai negli ultimi decenni. Una situazione drammatica di cui il simbolo è proprio il più grande fiume italiano, il Po, con i livelli ai minimi da settant’anni e la risalita del cuneo salino che minaccia le colture, oltre al lago Maggiore pieno solo al 34 per cento. È mancata una programmazione delle opere strutturali per cui si agisce solo in emergenza e ora abbiamo pochissimi strumenti a disposizione». È un quadro a tinte fosche quello tracciato da Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti Piemonte, che per superare questa grave carenza idrica punta alla realizzazione di tanti piccoli invasi per la raccolta dell’acqua.
Ritiene che i «piccoli invasi» possano essere una soluzione?
Con l’Italia che perde ogni anno quasi il 90 per cento dell’acqua piovana serve subito una rete di invasi di piccole dimensioni diffusi sul territorio, da realizzarsi senza uso di cemento e in equilibrio con i territori, per conservare l’acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all’industria e all’agricoltura. Si tratta di un intervento strutturale reso necessario dai cambiamenti climatici, caratterizzati dall’alternarsi di precipitazioni violente a lunghi periodi di assenza di acqua. Con l’Associazione nazionale delle bonifiche (Anbi) abbiamo elaborato, a livello nazionale, un progetto per una rete di bacini di accumulo. Veri e propri laghetti, per arrivare a raccogliere il 50 per cento dell’acqua dalla pioggia: 6mila invasi aziendali e 4mila consortili da realizzare entro il 2030 nei territori collinari o di pianura, con basso impatto paesaggistico, privilegiando il completamento e il recupero di strutture già esistenti. Questo avrebbe una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione.
Il comparto agricolo registra forti consumi di acqua. Cosa si può fare per ridurre questo fabbisogno?
Agricoltura e allevamento hanno già fatto tanto. Basti pensare alle tecniche di irrigazione 2.0, come quella a goccia utile proprio a contenere gli sprechi d’acqua. L’agricoltura, dunque, gestisce e mantiene il sistema idrogeologico e ha una funzione importantissima. Un esempio di tutto questo è costituito dalle risaie. Certo, le risorse idriche vanno gestite correttamente, d’altronde senza terra e senza acqua non ci può essere cibo.
Come sta andando la produzione?
Con le risorse idriche così ridotte, in Piemonte arriviamo, nella zona di Novara, a perdere anche fino al 70 per cento del riso coltivato, se perdura questa situazione. E abbiamo stimato già danni, a causa della siccità, di oltre 900 milioni di euro complessivi. Nei giorni scorsi avevamo chiesto che, sulla scia dell’accordo che abbiamo siglato in Piemonte con Iren energia, i gestori dei bacini idrici montani ad uso idroelettrico consentissero il rilascio di una maggiore quantità d’acqua per l’intero arco della giornata. Così come abbiamo richiesto una maggiore flessibilità e la deroga straordinaria al deflusso minimo vitale per evitare di perdere alcune delle colture fondamentali della nostra Regione come il mais, il riso e le foraggere. Purtroppo l’esempio di Iren non è stato seguito da tutti, motivo per cui abbiamo un grave problema ora nel distretto risicolo del novarese.
Ci saranno ripercussioni su molti prodotti?
Il rischio è che con la siccità che fa diminuire i raccolti, possano aumentare i prezzi per il consumatore finale. Sulla frutta e la verdura si vedono già i rincari con pomodori aumentati del 19 per cento, come anche le pesche.
Come vede la questione del grano ucraino?
L’accordo raggiunto dal premier Mario Draghi con il presidente turco Erdogan per la ripresa del passaggio delle navi cariche di cereali sul Mar Nero è importante per salvare dalla carestia quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60 per cento del proprio reddito per l’alimentazione e risentono quindi in maniera devastante dall’aumento dei prezzi dei cereali causato dalla guerra, ma anche per ridurre l’inflazione in quelli ricchi. Il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero, a causa dell’invasione russa, ha alimentato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole delle speculazioni, tanto che le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato.
In che modo superare questa distorsione?
Bisogna rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari, facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei. La crisi sui mercati mondiali generata dalla guerra in Ucraina, con le quotazioni del grano in balia delle tensioni geopolitiche, rende sempre più forte la necessità di autoapprovvigionamento in controtendenza con il trend degli ultimi dieci anni che hanno visto la scomparsa di un campo di grano su cinque. Insieme al Consorzio agrario del Nord Ovest abbiamo lanciato il progetto di filiera Gran Piemonte, tramite il quale sono già stati seminati oltre 6.500 ettari, per valorizzare proprio l’«oro giallo» ed ottenere prodotti da forno veramente preparati con la farina del territorio, rispondendo anche alle esigenze dei consumatori, che sono sempre più attenti alla provenienza degli ingredienti. Al fine di implementare la progettualità per essere sempre più autosufficienti, vogliamo ricordare all’agroindustria virtuosa la nostra disponibilità ad incrementare i quantitativi prodotti per poter anche garantire prezzi equi alle imprese, che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali, tutelando sempre la biodiversità dei nostri territori.
Aumento materie prime e siccità: questioni da affrontare a livello europeo?
Certamente. Come abbiamo fatto presente a Bruxelles, al vertice con il commissario europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, sulle problematiche delle filiere agricole e l’emergenza idrica che ha colpito l’Italia, è necessario adottare misure strutturali per garantire la disponibilità di acqua in futuro e la produzione di cibo. Penso al Piano invasi promosso da Coldiretti e Anbi e ad interventi su alcune regole della futura Politica agricola comune. L’Europa ha preso atto della grave situazione in corso nel nostro territorio, impegnandosi con il Governo ad inserire nel Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) risorse per l’ammodernamento delle reti idriche urbane, che evitino lo spreco e la dispersione dell’acqua, e fondi per i nostri agricoltori finalizzati a realizzare la rete di invasi per prevenire e tamponare in futuro emergenze come quella che stiamo vivendo, con danni enormi alle nostre colture.
Cosa può fare il comparto agricolo per contrastare il cambiamento climatico?
Siamo di fronte, sempre più spesso, alle conseguenze dei cambiamenti climatici che si verificano con eventi estremi, slittamento delle stagioni e alternanza tra siccità e gelate. Una corretta gestione delle risorse idrogeologiche, oltre al semplice uso irriguo, apre anche una serie di opportunità che vanno dalla produzione di energia pulita, alla creazione di bacini adibiti ad attività turistiche e sportive, oltre ad essere fondamentale per prevenire alluvioni e salvaguardare i nostri territori. Il contrasto ai cambiamenti climatici passa anche dalla cura del verde, dalla difesa dei boschi evitando il dissesto idrogeologico, dalla pulizia degli alvei dei nostri fiumi, dal preservare i terreni agricoli, dall’evitare il consumo di suolo. Azioni che i nostri imprenditori agricoli mettono in atto, salvaguardando l’ambiente, ogni giorno con il loro lavoro.
Un’ultima domanda, cosa pensa dell’attuale situazione politica?
Tra guerra, pandemia e difficoltà economiche, tra costi dell’energia e delle materie prime, non ci voleva una crisi di governo. L’auspicio è che l’esito delle elezioni consenta nel più breve tempo possibile la nascita di un governo stabile. La stabilità politica è un fattore importante per le imprese ed è essenziale per la ripresa economica e sociale del Paese.