La prima volta che mise piede in Brasile era nel novembre del 1974, inviato dal cardinale Michele Pellegrino da Torino come fidei donum per la missione di Louis Dominguez. Da allora per mons. Carlo Ellena il Brasile è stata la sua casa. Per 36 anni con una sola parentesi: di nuovo a Torino come parroco dal ’93 al ‘98.

In Brasile, dopo 19 anni a Louis Dominguez, la sua missione è stata l’isola di Marajo e il seminario di Belem do Parà, poi è stato sottosegretario della Conferenza episcopale Regionale Nordeste 5 e infine Vescovo di Zé Doca nello Stato brasiliano del Maranhão dal 2004 fino al 2014 quando, divenuto emerito, è rientrato in Italia.
Mons. Ellena, lei conosce bene i problemi e le risorse dell’Amazzonia brasiliana, conosce e ha collaborato con molti dei Vescovi che a Roma partecipano al Sinodo che si apre il 6 ottobre sul tema: «Amazzonia, nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale». Quale è il ‘peso’ di questa assise?
Io parlo ovviamente per il Brasile, anche se il Sinodo abbraccia tutti i paesi della zona Amazzonica. In Brasile la preparazione a questo appuntamento ha innanzitutto fatto sì che le comunità si confrontassero, dialogassero per arrivare a documenti che poi per gradi successivi hanno portato al documento finale. Un’occasione di dialogo, di presa di coscienza, di denuncia della realtà in cui vivono milioni di persone. Questo è il primo elemento positivo.
Partiamo dall’Instrumentum laboris su cui i Vescovi discuteranno: il documento presenta vari temi che spaziano dall’ecologia alla pastorale, quali sono secondo lei i punti chiave che verranno maggiormente ripresi e che genereranno dei cambiamenti?
Anzitutto bisogna ricordarci che non è un Sinodo decisionale, non si deciderà nulla, ma si faranno proposte e riflessioni che poi verranno riportate a Papa Francesco. Saranno orientamenti… Sono tanti i nodi problematici dell’Amazzonia di cui finalmente si auspica che si prenda coscienza, penso anche solo alla mia esperienza in zone isolate, senza strade, senza energia elettrica, dove per comunicare funzionava solo la posta e ci voleva un mese perché una lettera giungesse in Italia e un altro mese perchè mi arrivasse la risposta. Per il nostro mondo in cui la comunicazione è istantanea ormai è inconcepibile, ma in molte aree è ancora così. Ci sono problematiche e situazioni che condizionano la vita delle persone che non si immaginano ed è importante che se ne parli. A me, come pastore che in Amazzonia ho dedicato gran parte del ministero, sono due i temi che stanno particolarmente a cuore e che saranno oggetto di discussione: la celebrazione dell’Eucarestia nelle zone più isolate e quindi la figura del prete, della sua formazione e il problema legato al dilagare delle sette religiose che richiama anche la necessità di trovare nuove vie di evangelizzazione. Poi ci sono le gravi problematiche di natura sociale per le quali anche nel mio ministero ho cercato di fare qualcosa ad esempio promuovendo la scolarizzazione, l’educazione…
La prima parte dell’Instrumentum laboris «La voce dell’Amazzonia», al Capitolo I parla infatti della «vita», una vita che «è minacciata dalla distruzione e dallo sfruttamento ambientale, dalla sistematica violazione dei diritti umani fondamentali della popolazione amazzonica»…
Auspico che si parli della tratta, della prostituzione, del traffico di organi. Che si parli dei bambini e delle donne sfruttate localmente ma anche a livello internazionale. Poi c’è la ‘schiavitù bianca’ di cui occuparsi: si tratta di giovani a cui vengono promessi enormi guadagni per lavorare nei grandi latifondi dove però di fatto restano prigionieri. Non torneranno mai più a casa dalle loro famiglie o vi torneranno malati. Ci sono sempre più ‘Schiavi bianchi’, ma anche ‘Vedove bianche’: perché le donne rimangono sole con i figli e scivolano nella miseria più estrema e questo lacera e ferisce tutta la società. Nella seconda parte dell’Instrumentum «Ecologia integrale: il grido della terra e dei poveri» si legge poi che è importante che si prenda atto dei problemi causati alle popolazioni indigene dai garimpeiros (i cercatori d’oro), come da tutti coloro che vogliono sfruttare le ricchezze del suolo e della terra amazzonica: anche l’acqua viene prelevata dai fiumi e portata via…
Tanti dunque i temi sociali e ambientali di cui si approfondiranno cause e si ascolteranno i ‘suggerimenti’ pervenuti in questi mesi di confronto. Temi sui quali forse appare più facile il consenso e la sensibilizzazione, mentre quando si riflette e confronta sulla terza pare dell’Instrumentum «Chiesa profetica in Amazzonia: sfide e speranze» le questioni si fanno più delicate e controverse.
Ci sono in Amazzonia tantissime comunità isolate, che non si raggiungono neanche via terra, ma soltanto via fiume ed è estremamente pericoloso. Come Vescovo mi sono domandato tante volte quanto quelle comunità, dove l’Eucarestia poteva essere celebrata al massimo due volte all’anno, fossero veramente «cattoliche», pregavano, cantavano, celebravano ma senza l’Eucarestia che è il cuore della comunità cristiana. Poi pensavo ai ‘viaggi’ che i ministri dell’Eucarestia dovevano compiere… il problema della mancanza di sacerdoti deve essere affrontato, ma non solo in termini numerici, anche in termini di formazione e di appartenenza alla comunità. Sempre pensando alla mia esperienza infatti posso dire avevo nella mia diocesi almeno 12 mila indigeni e anche solo la comunicazione, il linguaggio con molte etnie è un ostacolo insormontabile. Non basta che arrivino preti da lontano… Ecco se ne parla da tempo e credo che nella consultazione sinodale si riprenderà l’ipotesi dei ‘preti di comunità’ che è stata sviluppata per la prima volta da mons. Fritz Lobinger Vescovo di Aliwal e che è descritta in un libretto ad uso interno «L’altare vuoto» sul quale già alcuni vescovi brasiliani stanno riflettendo. Secondo Lobinger potrebbero essere ordinati uomini della comunità, che restano nella comunità, celibi o sposati, appositamente formati. Non comunità qualsiasi, ma comunità mature e preparate, non persone che operano singolarmente ma in équipe. Non per scardinare il sacerdozio celibatario, ma per trovare delle vie nuove. Senza tener conto che oggi tanti preti sono missionari, ma è importante dare un «volto amazzonico» alla Chiesa con persone che sono espressione della cultura della Amazzonia stessa. Io quando arrivai in Brasile ad esempio nella diocesi di Ze Doca non c’erano preti locali ora ne abbiamo 20. Il primo è stato nel 1991 dom Sebastião Lima Duarte, è di Carutapera, dove opera il nostro fidei donum don Mario Racca, è stato mio vicario, l’ho ordinato Vescovo nel 2010 e oggi è alla guida della diocesi di Viana.
Ma queste riflessioni sul sacerdozio che sono state esplicitate nell’Instrumentum laboris nella Terza sezione al Capitolo IV, e in particolare nei «Suggerimenti», come sono state percepite dalle Chiese locali brasiliane?
So che c’è molta attesa per capire a cosa porterà il confronto su questo, perché è una questione che sta ‘bollendo’ da molto tempo, c’è anche un forte senso di prudenza e c’è anche un certo dissenso. Ma credo che sia importante che questo Sinodo ne parli. Non perchè ‘domani possiamo fare o non fare qualcosa’, ma perché si colgano le problematiche, si rifletta e si pongano i giusti presupposti per quello che è il nostro fine principale che è l’evangelizzazione.
Prima ha accennato ad un altro tema importante che il Sinodo si troverà ad affrontare e che spesso è proprio uno dei principali ostacoli all’evangelizzazione che è quello delle sette protestanti, quale è la situazione?
È una situazione che si collega anche alla carenza di sacerdoti e a uno stile di evangelizzazione che va rinnovato. Si moltiplicano infatti sette che di religioso hanno solo il nome, perché è il dio denaro quello che viene proclamato. Queste sette possiedono canali televisivi che funzionano 24 ore su 24, si basano su una ‘teologia’ che prevede un Dio che ricompensa arricchendo. I loro pastori sono grandi fazenderos con ville e aerei personali… Attirano con presunti miracoli e tengono soggiogate migliaia di persone. Trovo dunque importante e significativo che siano stati invitati al Sinodo anche come «delegati fraterni» esponenti anglicani, evangelici proprio per toccare con loro questo tema.
Un Sinodo atteso, preparato, un sinodo che darà voce a un mondo di cui spesso poco si parla, ma animato da grande fermento, forse è questo il primo cambiamento che porta con sé questa assise…
Certamente, e il fatto che se ne parli qui a Roma porterà ancor più sotto l’attenzione i problemi, le risorse, le complessità di queste terre e questa Chiesa. Il Sinodo non cambierà le cose nell’immediato, ma oggi ogni tanto mi fermo a pensare che sarebbe bello avere ancora cent’anni da vivere per vederne i frutti e perchè ci sarà ancora tanto da lavorare!