Sindaco di Torino, sarà battaglia tra lo Russo e Damilano

Il voto ad ottobre – Sarà battaglia fra Stefano Lo Russo e Paolo Damilano. Per la corsa all’elezione del Sindaco di Torino il centrodestra ha designato Damilano. Le primarie del centrosinistra hanno scelto Lo Russo. Molto scarsa la partecipazione dei torinesi a queste primarie: ha votato solo il 2% degli elettori

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Torino spesso anticipa i fenomeni politici e sociali: le «primarie», inventate dal centro-sinistra nell’era Prodi, hanno subito nella capitale subalpina un «flop» forse definitivo. Solo undicimila elettori, meno del 2 per cento degli iscritti alle liste per il voto di ottobre, ha partecipato ai gazebo per la scelta del candidato-sindaco. Il segretario del Pd Letta ha minimizzato attribuendo il default al Covid 19; ma nello stesso week-end le strade, le piazze, i parchi, i locali erano gremiti di folla.

Paolo Damilano (candidato sindaco del centrodestra)
Stefano Lorusso (candidato sindaco del centrosinistra)

Le ragioni dell’insuccesso sono più profonde. Anzitutto la eccessiva personalizzazione della scelta, con alcune personalità (il Rettore del Politecnico Saracco, il «mago» dei trapianti Salizzoni) sacrificate senza chiare motivazioni. Ha pesato anche la confusione politica e programmatica: lo scontro aperto tra Roma e Torino sui rapporti con i Grillini, la partecipazione alle primarie di quattro candidature con profili molto diversi: il vincitore per 300 voti, Stefano Lo Russo, docente al Poli, capogruppo dem in Consiglio comunale, è stato sostenuto dalle segreterie regionale e torinese, in una linea di continuità con i sindaci Castellani, Chiamparino, Fassino (di cui è stato assessore), in netta contrapposizione con la Sindaca grillina Chiara Appendino; la sorpresa del voto, il consigliere comunale della lista civica Francesco Tresso, ha fatto invece appello alla società civile e alle formazioni ecologiste; distaccato il vicepresidente della Sala Rossa, Enzo Lavolta, sostenuto apertamente dallo stato maggiore dei Grillini, ed ancor più sconfitto (200 persone ai seggi) il leader radicale Igor Boni, nonostante l’appello elettorale di Emma Bonino, con il rilancio dei temi «caldi» del partito di Pannella, in particolare il disegno di legge sull’eutanasia.

Il voto ha poi confermato per il Pd l’esistenza di due città: una buona partecipazione nei quartieri borghesi del Centro e della Crocetta, un disastro nei quartieri popolari, da Mirafiori alla Barriera di Milano (in queste zone, nella prima Repubblica, la Dc e il Pci raggiungevano il 70-80% dei voti).

Sull’altro versante della politica torinese, il destra-centro, l’imprenditore Paolo Damilano ha avuto il placet alla candidatura in una delle riunioni romane del vertice Salvini-Meloni-Tajani, tra una lite sul Copasir e le contese sui primi cittadini di Roma e Milano. Le primarie non sono nel Dna del destra-centro, mentre crescono a Torino i gazebo identitari del partito della Meloni, anche con la partecipazione – attestata dai media – di esponenti di Casapound. Questo rappresenta un problema politico serio per Damilano, per le profonde radici antifasciste della città; analogamente sono un problema le persistenti posizioni della Lega sul «no» ai migranti e sulla legge sul gioco d’azzardo. Il candidato sindaco sta cercando aperture esterne con la lista «Sì Tav» di Mino Giachino e con i centristi di Calenda e Renzi; ma «Azione» e «Italia viva» sono molto divisi sull’apertura alla destra perché significherebbe ribaltare la linea politica nazionale.

Un attento osservatore della politica subalpina, l’editorialista de «La Stampa» Luigi La Spina, aveva anticipato il «freddo» interesse dei torinesi sulla corsa a Sindaco, rilevando la genericità dei programmi. In questa seconda fase pre-elettorale occorrerebbe rilanciare questa dimensione, mentre la terza forza in campo, il M5S, conferma che correrà da solo (con la capogruppo Valentina Sganga o il consigliere Andrea Russi, filo-Appendino).

A Torino la questione dell’industria automobilistica resta prioritaria, e non solo per ragioni storiche, perché l’automotive è ancora la principale risorsa dell’area metropolitana; ma dalla gestione Marchionne (2004) ad oggi l’occupazione negli stabilimenti torinesi è sempre diminuita, con Giunte diverse in Comune (Chiamparino, Fassino, Appendino) e in Regione (Ghigo, Bresso, Cota, Chiamparino, Cirio). È un processo inarrestabile nell’economia globalizzata o è un fenomeno che si può contrastare? Se ne discute in queste ore al Ministero dello Sviluppo Economico, su richiesta dei sindacati, presenti Stellantis e Iveco. Quale la linea del Comune? Delega in bianco al Governo, pressione sugli azionisti Exor (famiglia Agnelli-Elkann), intervento dello Stato nel Consiglio di Amministrazione di Stellantis come già avviene in Francia con il Governo Macron?

Altro tema rilevante è la situazione finanziaria del Comune di Torino; secondo il foglio della Confindustria (Il Sole – 24 Ore) Torino può rischiare il default. È uno spot elettorale o una minaccia seria? Occorre avere idee chiare perché gli interventi siano reali e non promesse per il 10 ottobre; analogamente vanno precisati gli interventi con l’annunciato piano governativo del Revovery Fund.

C’è poi il nodo delle due città, il centro borghese e la periferia popolare; come avvicinarle, con interventi sociali, economici, culturali? Con la strada dell’inclusione o con una nuova separatezza verso i più deboli (anziani, emarginati, immigrati)? Non meno rilevante è la questione del pluralismo educativo e culturale, accanto al ruolo delle Circoscrizioni: nuove strutture di partecipazione o mano burocratica del potere centrale?

Sullo sfondo c’è sempre il rapporto con il cosiddetto «sistema Torino» (fondazioni bancarie, Camera di Commercio, Unione Industriale) e con le realtà sociali, tra cui spiccano i sindacati, le strutture di volontariato, il Terzo settore, le associazioni di categoria… I motivi di confronto e di rilancio (non solo della città, ma dell’intera area metropolitana, visto il doppio ruolo del Sindaco) non mancano e riguardano il futuro di oltre 2 milioni di persone, tra metropoli e provincia. Nel voto di ottobre è in gioco una grande responsabilità: per questo è auspicabile che nella seconda parte della campagna elettorale la politica alzi il tono del confronto, anche per favorire un’adeguata partecipazione alle urne, essenziale per la vita delle istituzioni democratiche. Non c’è tempo da perdere.

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