
Era visibilmente dispiaciuto ma sereno, trent’anni fa, il cardinale arcivescovo di Torino Anastasio Alberto Ballestrero, «custode pontificio» della Sindone, nell’annunciare, il 13 ottobre 1988, i risultati del contestatissimo esame con il radiocarbonio C 14.
Assistito dal consulente scientifico Luigi Gonella, docente al Politecnico di Torino, e dal portavoce vaticano Joaquin Navarro-Valls informa che i laboratori dell’Università dell’Arizona, dell’Università di Oxford e del Politecnico di Zurigo gli hanno comunicato che «L’intervallo di data calibrata assegnato al tessuto sindonico è tra il 1260 e il 1390 dopo Cristo. Nel rimettere alla scienza la valutazione dei risultati, la Chiesa ribadisce il suo rispetto e la sua venerazione per questa veneranda icona di Cristo, che rimane oggetto di culto in coerenza con l’atteggiamento da sempre espresso verso la Sindone. I problemi dell’origine dell’immagine e della sua conservazione restano insoluti ed esigeranno ulteriori ricerche, verso i quali la Chiesa manifesterà la stessa apertura, ispirata dall’amore per la verità, che ha dimostrato permettendo la datazione al radiocarbonio. Il fatto spiacevole che molte notizie siano state anticipate sulla stampa, soprattutto di lingua inglese, è motivo di mio personale rincrescimento perché ha favorito l’insinuazione, non certo serena, che la Chiesa avesse paura della scienza tentando di nascondere i risultati, accusa in palese contraddizione con gli atteggiamenti che ha portato avanti con fermezza».
A molti, compreso il sottoscritto, Ballestrero dice: «La Sindone può andare e venire, ma Cristo rimane. La Sindone si riprenderà. La Chiesa ha dato fiducia alla scienza. Le costernazioni della Chiesa non sono queste. Sono del tutto sereno. Nessuno mi farà dire che accetto questi risultati. La Chiesa ribadisce che il culto continua».
Il C 14 può dare solo due risposte: o la Sindone è autentica e risale all’epoca di Cristo, o è un falso medievale di 1000-1200 anni più tardi.
L’operazione fu complessa. Il 21 aprile 1988 dalle 5 alle 19 nella sacrestia del Duomo vengano prelevati i campioni per le analisi con il metodo di conteggio (Ams) che si serve di un acceleratore. Il prelievo avviene dal bordo del lenzuolo, in basso a destra dell’immagine frontale, uno dei punti più contaminati a uno dei due angoli dai quali la Sindone veniva tenuta spiegata dalle mani sudate di cardinali e vescovi nelle ostensioni, a pochi centimetri da uno dei punti carbonizzati dall’incendio del 1532 a Chambéry e macchiati dall’acqua usata per spegnere le fiamme e poi rammendati dalle monache. Su quel bordo si sono accumulati i prodotti della pirolisi e si è depositata la sporcizia dei secoli, delle centinaia di srotolamenti e arrotolamenti e trasferimenti. Un punto particolarmente inquinato da polveri, pollini, spore, fumo di candele, tracce di cera, manipolazioni, sudore, depositi dell’inquinamento industriale.
Ma il C 14 era ed è un metodo inaffidabile per la Sindone che aveva provocato degli svarioni.. Il laboratorio di Zurigo nell’83 aveva sbagliato di mille anni la datazione di un campione di cotone peruviano del 1200 dopo Cristo. Foglie di platano raccolte a Roma un anno prima, all’esame apparvero vecchie di 400 anni. Il sito neolitico di Jarmo, nel Kurdistan iracheno, risale al 4700 avanti Cristo, ebbene tre prove di C 14 hanno dato tre esiti diversi: 10000, 7000, 6000 avanti Cristo. Campioni di centinaia o migliaia di anni sono datati al futuro. Campioni di oggi sono risultati vecchi di migliaia di anni. Il laboratorio di Tucson ha datato un antico corno vichingo al 2006. Esemplare per sincerità lo specialista Michael Winter: «Se una datazione conferma le nostre teorie la mettiamo bene in vista nel testo principale; se le contraddice ma non del tutto la releghiamo in nota; se le contraddice del tutto la nascondiamo a tutti».
L’annuncio che la Sindone è medievale scatena un putiferio. Il «custode pontificio», i media, l’arcivescovado sono inondati da lettere indignate, telefonate velenose, proteste vibrate. Sostanzialmente le reazioni sono di tre tipi: moltissimi sono addolorati, non credono all’esito e non accettano le conclusioni; numerosi si sentono traditi nella loro buona fede e accusano la Chiesa di averli ingannati – gli uni e gli altri sono infuriati con l’autorità ecclesiastica perché è caduta nella «trappola dei carbonisti» -; una minoranza esulta perché vede smascherato quello che chiama «l’inganno della Sindone».
A distanza di 30 anni restano gli interrogativi: perché concedere la prova quando gli scienziati erano divisissimi sull’affidabilità del metodo? E quando lo stesso inventore, il fisico americano Willard Frank Libby, aveva sempre sconsigliato di usarlo sul lenzuolo? Perché non è stata fatta una complessiva indagine sulla natura fisico-chimica del lino ma solo la prova della datazione? Perché non sono state fatte prove sul grado di disinquinamento? I laboratori tennero conto dell’inquinamento provocato dal disastro di Chernobyl nell’aprile 1986? Perché sono stati ammessi tre Paesi a maggioranza protestante, la cui opposizione alle reliquie è nota? Perché non è stata assicurata o imposta la presenza come osservatori di delegati del «custode»? Perché i ricercatori hanno rotto il patto d’onore che li impegnava a non tentare di individuare quale fosse, dei pezzetti ricevuti, quello della Sindone? Perché non hanno fatto quello che avevano promesso, cioè una prova alla cieca? Perché la Chiesa, che non ha mai ufficialmente avallato i risultati di nessuna ricerca, si è così pericolosamente impegnata ed esposta solo con il C 14?
Pesantissimi i giudizi del professor Gonella: «I laboratori hanno violato il segreto. I giornalisti mi chiedevano: perché la Chiesa non annuncia i risultati? Ha paura della verità? Tenta di convincere i laboratori a cambiare verdetto? I laboratori non hanno fatto il test alla cieca come era nei patti. Non si fidavano e sono venuti in massa a Torino ma poi non hanno consentito che un rappresentante della Chiesa assistesse all’esame. È un complotto anticattolico e un comportamento mafioso». C’è voluto un decennio per risalire la china ma il verdetto non è riuscito ad affondare la Sindone né a intaccarne la credibilità.