Sotto il profilo finanziario, l’ultimo anno dell’Amministrazione Appendino prima delle elezioni del 2021 si annuncia difficile. Alla risicata maggioranza in Consiglio comunale (solo un voto di scarto, compreso quello del Sindaco) e alla delicata situazione degli enti culturali municipali, Teatro Regio in testa, si affianca la complicata gestione della spesa comunale, gravata da debiti che paralizzano la macchina municipale.

Preoccupa, tanto per cominciare, il calo di risorse economiche provocato dal Coronavirus. In un video messaggio del 12 maggio il Sindaco Appendino ha reso noto «un mancato introito di 240 milioni di euro nelle Casse del Comune di Torino per effetto delle sospensioni delle imposte (Imu, Tari) e della perdita definitiva di alcuni introiti», per esempio quelli derivanti dall’imposta di soggiorno nei mesi di marzo, aprile e maggio. Il risparmio stimato della riduzione al minimo essenziale delle attività comunali (20 milioni) non ha certamente compensato i minori ingressi: i 220 milioni di differenza sono oggetto di trattative con il Governo, perché lo Stato centrale venga in aiuto (si spera) del Comune.
C’è poi il tema del macigno di debiti che il Comune si trascina anno dopo anno, pagando interessi salati. Rispetto a questa partita, a fine maggio il Consiglio Comunale ha approvato la decisione di rinegoziare i mutui contratti dalla Città di Torino con la Cassa Depositi e Prestiti. In pratica: verrà aumentato il numero delle rate da pagare e, in cambio, verranno ridotti i tassi d’interesse. La ridefinizione delle condizioni interessa mutui per 114 milioni di euro. Verrà inoltre sospeso il rimborso della quota capitale dei mutui contratti con il Ministero dell’Economia e delle Finanze per circa 7 milioni di euro: un risparmio (momentaneo) di 600 mila euro.
Già l’anno scorso la Città ricorse a strumenti di ridiscussione delle condizioni dei mutui con l’obiettivo di spostare in là nel tempo la chiusura degli stessi, ottenendo un abbassamento della rata nel medio periodo, ma un innalzamento complessivo dell’importo da pagare. Accadrà così anche per la rinegoziazione approvata qualche settimana fa: per la Città di Torino ci saranno minori oneri fino al 2034 per un totale di 35 milioni di euro, ma maggiori oneri per i successivi dieci anni, fino al 2044, per 52 milioni e 300 mila euro.
L’operazione costerà alle casse della città, alla fine dei pagamenti concordati, 17 milioni e 300 mila euro, ma consente all’Amministrazione uscente di «tirare il fiato» ed evitare una parte delle spese che senza ridiscussione delle condizioni avrebbero gravato sul bilancio dell’anno. L’anno scorso un altro stock di mutui era stato rimodulato con Cassa Depositi e Prestiti, mentre su altri oneri finanziari della Città sono stati stipulati negli anni passati i tanto discussi contratti «derivati», strumenti finanziari molto controversi, che «al momento – secondo l’assessorato al Bilancio guidato da Sergio Rolando – presentano condizioni di mercato favorevoli al Comune e al valore degli interessi da pagare», ma si tratta pur sempre di strumenti, spesso molto complessi, soggetti alle turbolenze di un mercato globale sul quale la Città non ha il minimo controllo.
La soluzione che ha portato a nuove condizioni nell’esposizione debitoria del Comune non ha trovato consensi unanimi, né dentro, né fuori dalla Sala Rossa. L’Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie, che opera a livello nazionale sulla sorveglianza civica dei bilanci degli enti, ha rilevato che «la riduzione del tasso di interesse dei mutui ridiscussi con Cassa Depositi e Prestiti è minima: pochi centesimi di punto e i tassi rimangono intorno al 4,2% molto al di sopra di quelli di mercato».
Altre soluzioni sarebbero state possibili, sulla scorta di esempi nazionali e sentenze della magistratura: chiedere urgentemente al Governo la sospensione del patto di stabilità interno e del pareggio di bilancio per i Comuni, analogamente a quanto fatto dall’Ue per gli Stati; rivendicare l’accollo allo Stato dei mutui in essere con Cassa Depositi e Prestiti, riducendone drasticamente i tassi; tentare la strada dell’annullamento di tutti i debiti dovuti a derivati, con l’ausilio delle favorevoli pronunce dei Tribunali italiani a favore dei Comuni indebitati.
Tra i più critici in Consiglio comunale i consiglieri Eleonora Artesio e Francesco Tresso. Secondo cui «la deliberazione proposta è strutturalmente debole: di fatto, si sospendono soltanto le rate dei mutui, ma manca il coraggio di ridiscutere in profondità la situazione debitoria del Comune».