«A San Salvador sono stati beatificati il sacerdote gesuita Rutilio Grande García e due compagni laici, e il sacerdote francescano Cosma Spessotto, martiri della fede. Sono stati al fianco dei poveri testimoniando il Vangelo, la verità e la giustizia fino all’effusione del sangue. Il loro eroico esempio susciti in tutti il desiderio di essere coraggiosi operatori di fraternità e di pace. Un applauso ai nuovi beati» esclama Papa Francesco al termine dell’Angelus di domenica 23 gennaio 2022.
Il 12 marzo 1977 un gruppo di uomini tende un agguato disponendosi sui due lati della strada che porta alla casa parrocchiale di Aguilares e uccidono padre Rutilio, 48 anni, mentre va in parrocchia a celebrare Messa e i due accompagnatori, Manuel Solórzano di 72 anni e Nelson Rutilio Lemus di 16. Mons. Oscar Arnulfo Romero – che si batte per i diritti dei poveri «perché figli di Dio» – Arcivescovo di San Salvador, addoloratissimo, ne veglia il cadavere e ne celebra le esequie protestando contro il crimine e la violenza dei gruppi paramilitari, gli stessi che lo uccideranno tre anni dopo. Partecipano 150 sacerdoti e oltre 100 mila persone. A questa folla enorme ricorda che «nei momenti più importanti della mia vita lui mi è stato molto vicino e questi gesti non si dimenticano mai». La morte di Rutilio Grande segna profondamente i restanti tre anni di vita di Romero: sarà ucciso sull’altare il 24 marzo 1980 e sarà canonizzato 14 ottobre 2018.
Nato a El Paisnal il 5 luglio 1928, Rutilio Grande va in Seminario, poi nella Compagnia di Gesù a 17 anni. Sacerdote il 30 luglio 1959, negli anni successivi al Concilio Vaticano II rinuncia al lavoro accademico e lavora dapprima per la formazione dei sacerdoti – durante le vacanze invia i seminaristi ad abitare nelle famiglie povere – e poi parroco nella zona rurale di Aguilares. «Lavora – ricordano i Gesuiti – con i contadini e li aiuta, mediante l’evangelizzazione, a percepire che il messaggio di Gesù libera da ogni ingiustizia. I contadini si mobilitano per difendere i loro diritti e la loro dignità di fronte ai proprietari terrieri che ordinano di farli fuori. Padre Rutilio Grande – chiamato «Tilo» dai parrocchiani – vive in modo frugale e crea una rete di comunità cristiane alla quale partecipano oltre 2 mila contadini.
Il gesuita rifiuta la violenza e denuncia con forza le ingiustizie del sistema politico ed economico. Il 13 febbraio 1977 pronuncia un’omelia che segna la sua fine: «Temo che molto presto la Bibbia e il Vangelo non potranno più attraversare i nostri confini. Ci lasceranno solo le copertine perché ogni loro pagina è sovversiva. Temo che se Gesù di Nazareth tornasse a Chalatenango a San Salvador, non arriverebbe ad Apopa: lo arresterebbero e lo metterebbero in prigione prima e tornerebbero a crocifiggerlo. Spero che Dio mi liberi da essere parte di coloro che lo crocifiggeranno! Molti preferiscono un Cristo da pompe funebri; un Cristo muto che passa in silenzio per le strade; un Cristo con la museruola sulla bocca; un Cristo a nostra immagine che agisce secondo i nostri interessi. Questo non è il Cristo del Vangelo! Non è il giovane Cristo di 33 anni che ha dato la vita per la nobile causa dell’umanità! Alcuni vogliono un Dio che sta tra le nuvole. Non vogliono questo Gesù di Nazareth, scandalo per gli ebrei e follia per i pagani. Vogliono un dio che non li sfidi, che non dica queste parole tremende: “Caino, dov’è tuo fratello Abele?”. Nel Cristianesimo bisogna dare la vita nel servizio per un ordine giusto, per salvare gli altri, per i valori del Vangelo».
Quella di El Salvador è una Chiesa di martiri: seminaristi, sacerdoti, catechisti assassinati prima e dopo Rutilio Grande e Romero. I sei gesuiti dell’Università centroamericana «José Simeón Cañas», padre Ellacuria e compagni, cadono il 16 novembre 1989. «Padre Rutilio Grande è stato ucciso in odio alla fede perché difendeva la giustizia, l’amore, la fraternità nel suo Paese in tempi molto difficili. Lo faceva con la vita e con le parole. Speriamo che aiuti la riconciliazione in El Salvador e anche in altri luoghi, come modello di giustizia»: sono le appassionate parole del gesuita Pascual Cebollada, postulatore della causa di beatificazione che è approdata il 22 gennaio 2022 con la proclamazione a beato. Nella celebrazione presieduta dal cardinale Gregorio Rosa Chávez, con 25 vescovi e 600 sacerdoti, sono stati proclamati beati anche Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus, due contadini laici che viaggiavano con lui sull’auto. I colpi di mitraglia furono così numerosi da far ribaltare la vettura e 12 crivellano e uccidono padre Rutilio.
«Simbolo di un Paese che chiede verità e giustizia» – Il postulatore Cebollada, in un’intervista a «Vatican News» si dice «sorpreso e stupito di quanto poco tempo abbia impiegato la causa per arrivare alla beatificazione». Tutto inizia nel 2014, un anno dopo l’elezione di Jorge Mario Bergoglio al papato, per iniziativa dell’arcidiocesi di San Salvador e della Compagnia «orgogliosa di questo suo membro». Più difficile reperire informazioni su Lemus e Solórzano, due poveri, anonimi e illetterati «campesinos, contadini». Con loro è stato beatificato il missionario francescano italiano Cosma Spessotto, assassinato dagli squadroni della morte nel 1980. In Salvador la guerra civile dura dal 1979 al 1992: da un lato il marxista «Frente Farabundo Martí para la Liberación nacional e dall’altro l’esercito appoggiato dai latifondisti, da gruppi paramilitari di estrema destra, tra cui gli «Escuadrones de la muerte» e la «Unión Gerrera Blanca». L’esperienza di padre Cosma è tutta protesa a far conoscere la Parola di Dio, a instillare semi di giustizia e di pace nel cuore della gente con uno stile mite, dolce, sereno, mai una parola di troppo, prudente ma fermo nel respingere la violenza. Trova la morte il 14 giugno 1980: gli sparano davanti all’altare della sua parrocchia di Nonualco mentre prega prima della Messa, proprio come Romero.