Dopo il crollo del ponte di Genova, la Tav è ancora “inutile”?
Egregio Direttore,
all’informatissimo Angelo Tartaglia (mi riferisco alla sua lettera pubblicata su La Voce e il Tempo di domenica 2 settembre pagina 30) oggi vorrei rivolgere una domanda: se dopo il crollo del ponte sul Polcevera a Genova è ancora così convinto che un moderno collegamento ferroviario tra Italia e Francia, ovvero tra est ed ovest dell’Europa, sia così inutile e dannoso!
Paolo ORLANDINI
(Torino 23 settembre 2018)
Risponde Angelo Tartaglia, professore emerito al Politecnico di Torino
Egregio Direttore,
ho letto la lettera del Sig. Orlandini su la Voce e il Tempo del 23 settembre, in cui mi chiede se la vicenda del crollo del ponte Morandi non metta in discussione le mie valutazioni riguardo all’(in)utilità di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione. Provo a rispondere sperando nell’ospitalità del suo giornale.
La tragedia di Genova non aggiunge e non toglie nulla ai ragionamenti sulla Torino-Lione. Semmai attiene alla sicurezza delle infrastrutture e dei trasporti. Il problema è molto serio e va affrontato non episodicamente. Abbiamo visto quel che succede col collasso di un ponte autostradale, con 43 morti e una quantità di disagi e incertezze di non poco conto. D’altra parte riesce il mio interlocutore ad immaginare un incidente che avvenisse in un tunnel di 57 km a una ventina di km dall’imbocco? Un pallido esempio lo si ebbe al tunnel del Bianco (che è lungo solo 11 km e mezzo) nel 1999, con 39 morti, dopodiché il traforo rimase chiuso fino al 2002, con non pochi disagi.
Non è nemmeno una peculiarità del modo di trasporto. Pensi all’incidente ferroviario nella stazione di Viareggio del 2009 con 32 morti e 25 feriti, vari edifici crollati e alcuni successivamente abbattuti (come un sovrappasso coinvolto dall’incendio) perché inagibili. Pensi allo scontro tra treni dalle parti di Andria nel 2016, con 23 morti e 57 feriti. Non è neanche questione del tipo di treno: a Santiago de Compostela, nel 2013, deragliò un treno ad alta velocità provocando 79 morti e 140 feriti; a Enschede (tra Hannover e Amburgo), 1998, un treno ad alta velocità (anche se non da 300 km/h, ma solo 250), a seguito di un guasto ad una ruota, deragliò e, complice una complessa interazione col binario, causò 101 morti e 88 feriti.
Complessivamente le statistiche dànno più morti per km percorso sulle strade che in ferrovia, ma i singoli incidenti in ferrovia tendono ad essere più devastanti. Sempre per le statistiche il mezzo di trasporto più sicuro (in termini di vittime per km percorso) è l’aereo, ma lì il singolo incidente è quasi sempre letale per la totalità dei trasportati. In tutti i casi e tutte le tecnologie il numero di incidenti cresce con la densità di traffico.
Un altro argomento che il mio interlocutore non menziona esplicitamente ma credo sottintenda, indipendentemente dagli incidenti, è quello della congestione che è un problema generale in tutta Europa (e non solo). I camion sulle strade hanno impatti e producono congestione più delle merci in ferrovia. Il punto è che anche qui le cose sono più complicate di quanto si pensi, tanto è vero che la Francia, che ha la più rilevante rete ferroviaria AV d’Europa, ha un riparto modale (percentuale di merci che viaggiano su rotaia) non molto migliore di quello dell’Italia; sulle linee del TGV comunque le merci non viaggiano. Da noi in teoria e ufficialmente le linee ad AV possono portare anche le merci (in gergo si dice che sulla To-Mi-Bo-Fi-Roma-Na ci sono delle tracce merci disponibili e che le linee sono anche ad alta capacità, AC), ma di merci non ce ne viaggiano. Il problema è che ciò che determina le scelte dei traportatori è in primis il costo e poi altri fattori il più importante dei quali è l’affidabilità (debbo sapere con ragionevole certezza quando parto e quando arrivo) più che la durata del viaggio. Nel caso dell’AV/AC nostrana il gestore della rete mette appunto la rete e in linea di principio anche le motrici, ma non i vagoni; i vagoni non sono quelli soliti, ma debbono avere sistemi di ammortizzamento e frenata tali da garantire la sicurezza e non creare problemi di manutenzione pesante alle rotaie su cui viaggiano anche treni passeggeri “leggeri”, fino a 300 km/h. Questi vagoni sono un costo che i trasportatori non ritengono di volersi accollare.
Il confronto strada/rotaia non è affatto semplice. Immaginiamo che un’industria voglia spedire i suoi prodotti per ferrovia: prima li caricherà su dei camion che li portino fino ad uno scalo ferroviario; da lì un treno raggiungerà un altro scalo; in quest’ultimo infine dovranno essere disponibili altri camion per la distribuzione finale. Se i due scali ferroviari non sono abbastanza lontani, una volta caricati i primi camion questi vengono mandati direttamente fino alla destinazione finale. Quanto lunga deve essere la tratta ferroviaria per prevalere? Non c’è una risposta netta ma diciamo che deve essere almeno di 300 km o giù di lì. L’ideale è il migliaio di km o più.
Il problema degli impatti e della congestione si complica nell’ambiente alpino dove l’impatto della strada è indubbiamente più alto. Detto tutto ciò, trasferire più merci dalla strada alla rotaia resta un obiettivo globale europeo e dei singoli stati, ma i risultati sono generalmente deludenti. Una rilevante eccezione in ambito alpino è la Svizzera dove una quota dell’ordine del 70% delle merci in attraversamento va su rotaia (la quota del trasporto interno è dell’ordine del 25% per via delle brevi distanze). La Svizzera ha ottenuto il risultato innanzitutto facendo in modo che la rotaia fosse più conveniente del camion mediante una tassazione dell’attraversamento del paese su strada, proporzionale al carico, alla distanza e dipendente dal tipo di automezzo. Dopo aver introdotto questa tassazione e averne verificato l’efficacia, gli svizzeri hanno anche potenziato (parzialmente) le infrastrutture su direttrici sulle quali da anni il traffico risultava in crescita. Né Italia né Francia hanno mai ipotizzato o quanto meno provato ad introdurre tariffe per l’attraversamento delle Alpi su strada (eurovignette). Se l’obiettivo è togliere camion dalla strada, anche da parte di chi richiede nuove infrastrutture, la prima cosa da fare per produrre effetti immediati sarebbe appunto quella del pedaggio transalpino: la linea esistente potrebbe tranquillamente portare sette volte quello che ci passa oggi. Viceversa da noi il trasporto su strada, lungi dall’essere scoraggiato, fruisce di fatto di varie agevolazioni nel costo dei carburanti (circa 16 miliardi di euro all’anno) e nelle tariffe autostradali che non sono certo proporzionate all’usura che un mezzo pesante produce se confrontato con un’autovettura.
Chiedo scusa della lunghezza, ma cerco sempre di proporre argomentazioni più che affermazioni. Distinti saluti.
Angelo TARTAGLIA
(Torino, 27 settembre 2018)