Mentre scriviamo (mercoledì 27 novembre) arriva una mail dalla comunità dei padri Giuseppini del Murialdo presenti in Albania a Durazzo epicentro del sisma e a Fier, nel nord del paese: «c’è appena stata una scossa di magnitudo 5.3: oggi è giornata di lutto nazionale per i morti di ieri ma continuate a pregare per noi, non è finita».
Il bilancio del terremoto che ha colpito il Paese delle Aquile nelle prime ore del mattino di martedì 26 novembre è provvisorio: almeno 31 morti di cui tre bambini, venti dispersi e oltre 650 feriti alcuni molti gravi. È il terzo sisma che colpisce il Paese quest’anno: la scossa più forte, con epicentro vicino a Durazzo registrata martedì scorso era di magnitudo 6.5, come quelle che hanno messo in ginocchio nel 2016 Norcia e Amatrice. E come in Italia anche a Durazzo e nei centri limitrofi come Thumane numerosi palazzi che risalgono ai tempi del regime di Hoxa si sono letteralmente sbriciolati tanto che i soccorritori continuano a scavare a mani nude nelle macerie. E, secondo gli esperti la terra continuerà a tremare come accade quando di verificano gli sciami sismici.

«Tanti edifici sono crollati e tante persone, rimaste senza casa, si trovano in condizioni di emergenza. Stiamo accogliendo gli sfollati nelle strutture delle nostre chiese» ha detto mons. Giovanni Peragine, amministratore apostolico dell’Albania meridionale e vicepresidente della Conferenza episcopale albanese.
Tra i primi ad accorrere per portare soccorso alla gente mons. monsignor George Anthony Frendo, domenicano maltese, nominato Arcivescovo di Tirana-Durazzo nel 2016 da papa Francesco, scrive Adele Prestipino, laica consacrata che vive nell’Opera murialdina di Fier: «Il Vescovo si è raccolto in preghiera vicino alle macerie e ha sostenuto i soccorritori che hanno lavorato per ore per estrarre le persone dalle rovine. Vi ringraziamo tutti per il grande affetto che avete dimostrato in queste ore per noi e per il popolo albanese. Per noi di Fier anche se abbiamo sentito la scossa molto forse non ci sono stati danni ma a Durazzo ci sono stati crolli e vittime: noi qui preghiamo il Signore perché la terra finisca presto di tremare e si possano salvare le persone che sono ancora sotto le macerie».
Mons. Frendo, che ha ringraziato il Papa per le parole di attenzione per il popolo albanese pronunciate durante l’udienza di mercoledì 27, ha annunciato che giovedì 28 è stato fissato un incontro con i sacerdoti e le religiose albanesi per pianificare ulteriori aiuti.
Sono numerosi i religiosi della diocesi di Torino che vivono accanto alla popolazione albanese dall’indomani della caduta della dittatura nel 1990 e che hanno ridato vita alle comunità cattoliche costrette alla clandestinità durante il regime. Tra questi i giuseppini del Murialdo, presenti a Fier dal 1994, dove gestiscono, tra l’altro, un oratorio e un Centro di formazione professionale, punto di riferimento per i giovani di tutto il distretto, e nella periferia di Durazzo dal 2001 dove curano due cappellanie (Shpitalla e Reparto Ushtarak). E proprio a Durazzo, l’8 ottobre 2001 padre Ettore Cunial, giuseppino del Murialdo, fu ucciso in seguito ad una rapina nella Casa di accoglienza per i giovani più poveri che aveva fondato. Del religioso è stata avviata la causa di beatificazione.
E tra i primi giuseppini ad arrivare in Albania, don Bartolomeo Rolfo, originario di Pocapaglia (Bra), indimenticato parroco a Nostra Signora della Salute a Torino negli anni ’90, ci ha mandato le prime foto del sisma scattate dai confratelli a Durazzo. «Nelle nostre due chiese a Durazzo per fortuna non ci sono stati grandi danni» spiega don Rolfo «l’Albania è un Paese a rischio sismico, non è una novità: infatti a Fier abbiamo costruito scuola, casa e oratorio con materiale antisismico e lo stesso stiamo facendo con i nuovi laboratori del nostro centro professionale in costruzione grazie al finanziamento della fondazione tedesca Renovabis. Il nostro impegno da quando siamo in Albania è quello di dare un mestiere ai giovani per fermare l’emorragia dell’emigrazione delle nuove generazioni che impoverisce il Paese che invece ha bisogno di risorse sane e preparate per rialzarsi».