Torino a Nairobi ha inaugurato il grande centro pastorale

Kenya – Giorni di festa nella parrocchia retta dai fidei donum torinesi. Per il taglio del nastro è volato in Africa il vicario generale mons. Valter Danna. Giunge a compimento un’opera molto desiderata, costruita dalla comunità parrocchiale nella pazienza degli anni, anche con il sostegno di Torino. GALLERY

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«Karibuni! Asante!» (Benvenuti! Grazie!). Piccoli e grandi salutano così, tendendo la mano e offrendo un sorriso, la delegazione torinese – il Vicario Generale mons. Valter Danna, la vicedirettrice dell’Ufficio Missionario, Morena Savian, e chi scrive – arrivata nella serata di giovedì 22 novembre a Tassia, nella parrocchia del Santi Innocenti. Parrocchia, alla periferia di Nairobi, nata  dall’impegno dei fidei donum torinesi don Mauro Gaino, oggi parroco a Savigliano, e don Beppe Gobbo, oggi parroco a Viù e che adesso è affidata a don Paolo Burdino e don Daniele Presicce. Salutano così, ad ogni incontro, negli spazi della comunità che nella prima mattinata di venerdì vengono presentati a mons. Danna, e poi ad ogni occasione fino al giorno della partenza, a testimoniare il legame di affetto e di gratitudine che lega la comunità kenyota con la nostra diocesi. Legame profondo, nato dall’impegno e dalla generosità di don Gaino e don Gobbo e alimentato e rafforzato ora dall’operato di don Burdino e don Presicce. Il dono continua, evolve, e dalla chiesa di lamiera e dal desiderio della comunità di avere un riferimento per la preghiera e per vivere la fede, domenica 25 si è inaugurata, con la presenza di mons. Virgilio Pante, italiano, missionario della Consolata Vescovo di Mararal e di don Simon Nganga Economo della diocesi di Nairobi anche la Hall. Si tratta di un edificio su tre piani, a lato della chiesa, con un grande salone, un magazzino, una cucina, bagni (che nel contesto non sono affatto scontati), che va ad aggiungersi alla grande chiesa in muratura, alla cappella per l’adorazione, alla casa parrocchiale. Un pezzo dopo l’altro costruiti con pazienza e con attenzione ai particolari e alle sensibilità, mentre già la chiesa da oltre 2 mila posti non basta più. Domenica per il «Family day» e l’inaugurazione della struttura che garantirà nuovi spazi ai bimbi della primary school, alle famiglie ai cori (tre, che animano le liturgie della chiesa di Tassia) le persone, cinque mila circa in tutto, hanno occupato anche il sagrato. Famiglie in festa per il nuovo spazio che servirà per le attività pastorali, famiglie in festa perchè anche a presenza dei «torinesi» è un onore, testimoniato dalle parole di gratitudine espresse nella celebrazione, nei doni offerti (i bracciali, il mantello dei masai, una casula, un aspersorio e «il bastone di chi ha la resposabilità del comando») negli applausi spontanei che il nome dell’Arcivescovo mons. Nosiglia e  di don Gaino (di cui è stato anche letto un messaggio di saluto e di affettuoso ricordo per i 5 anni condivisi)  e don Gobbo hanno suscitato.

«È questo un momento di crescita», ha sottolineato nel suo intervento mons. Danna «per la parrocchia: non sono importanti i muri ma sono importanti le persone, tuttavia questi muri aiuteranno a fare incontrare le persone, a fare tante belle attività, sono nuovi spazi che vi invitano a coinvolgervi, a essere disponibili per un volontariato, insomma a diventare più fratelli in Cristo».

La giornata era iniziata con lo scoprimento della targa e la benedizione della Hall, un percorso festoso scandito dai canti, scalino dopo scalino, in un crescendo di intensità. Nella hall molte  jumuiya, le piccole comunità che periodicamente si incontrano per pregare e condividere, avranno quello spazio per il confronto che nelle case non sempre è possibile. E poi, chi vorrà, vi potrà festeggiare il matrimonio o altre ricorrenze. Le case, per la maggior parte dei parrocchiani, sono nella migliore delle condizioni una stanza unica senza servizi, in molte manca anche l’acqua. Ci vivono in 4, 6, 8 persone. Impensabile usarle per fare festa, ma spesso anche per vivere il confronto con altre famiglie. Un confronto e una preghiera che sono la forza di questi piccoli gruppi. Proprio in una jumuiya uno dei momenti più intensi, venerdì 23,  per la delegazione torinese in visita a Nairobi. Accolti nella casa di Cinthia nel quartiere di Pipeline, raggiunto dopo aver camminato nel traffico, nelle strade segnate da fango e buche, e da ogni possibile attività di commercio, di riciclo delle ricchezze – vestiti e scarpe –  soprattutto usate dai paesi ricchi e riversate nel continente africano, si è celebrata la Messa. Al termine   poi le presentazioni,  il tè e le chapati.  Familiarità accoglienza e ancora gratitudine che si è espressa negli sguardi, nelle preghiere, nel semplice passarsi di mano di un telefonino che da Torino aveva in memoria le immagini di mons. Marco Prastaro, per anni fidei donum in un’altra zona del Kenya, ma noto per le viste e per aver accompagnato come direttore dell’Ufficio Missionario i sacerdoti dall’Italia a Nairobi e averli ‘introdotti’ alla realtà del Kenya. Pregano i membri della jumuiya, ascoltano l’omelia di don Burdino che dal Vangelo del giorno, invita all’onestà, chiedono la benedizione al Vicario Generale, offrono il loro contributo economico per la comunità. Come loro ci sono altre 29 jumuiye a Tassia, e altre si vorrebbero costituire e iniziare il cammino, usufruendo proprio degli spazi della nuova Hall. Mamme, papà, bimbi che leggono la Parola, partecipano stretti stretti  all’Eucarestia feriale che caratterizza il loro incontro mensile. Cercano di viverla nelle fatiche del quotidiano, con le sofferenze di chi è arrivato in città lasciando parte della famiglia nei villaggi, di chi non ha abbastanza per sopravvivere, di chi è profugo o è stato segnato dalla violenza… Volti, storie, voci che si mescolano e trovano unità proprio nella comunità parrocchiale, nella quale ha ricordato mons. Pante nell’omelia, «tutti devono sentirsi responsabili, tutti chiamati ad essere protagonisti in prima persona di quel modo che è sotto il governo di Dio». E protagonisti lo sono stati se si guarda alla nascita della Hall, realizzata quasi tutta con i contributi offerti dai parrocchiani. «Voglio farvi i complimenti», ha ancora aggiunto mons. Danna, per la generosa contribuzione dei parrocchiani a cui la diocesi di Torino ha dato un piccolo aiuto, è segno della collaborazione tra le nostre due diocesi, oltre il dono più importante di aver mandato ben due preti. Vi invito a camminare nella fede e a stare vicino e aiutare don Paolo e don Daniele che vi vogliono bene». E a confermare l’importanza della relazione più che del sostegno finanziario le parole di don Paolo alla comunità: «Non è l’aspetto economico quello su cui fermarsi», ha spiegato, «quanto proprio l’impegno che tutti hanno messo per coronare questo desiderio di nuovi locali».  E ancora alla viglia della festa c’è infatti chi sistema le tende che ripareranno i fedeli dal sole, ci sono i giovani che puliscono, con cura e orgoglio le stanze del catechismi, chi appende i tendaggi, e ci sono i 2 sacerdoti che montano la targa tra la curiosità dei bambini.

E poi si coglie negli sguardi come non sia  il fattore denaro che  determina la gratitudine verso la nostra diocesi,  che pure ha contribuito, ma è la presenza, l’amicizia il dono dei suoi preti. E il constatare che i fidei donum sono per i fedeli ascolto, perdono, conforto. Sono preti che condividono, annunciano, aiutano a sperare anche chi vive negli «slum», anche chi  è malato e sa di non potersi permettere le cure e cerca conforto in una benedizione. Preti che accolgono i bimbi anche quando la suola come in questo periodo è chiusa inventandosi una sorta di «inverno ragazzi», preti che responsabilizzano i laici, pensano alla loro formazione. «Tutta la festa» prosegue don Burdino, «è stata organizzata da membri delle comunità,  e saranno i membri del Consiglio parrocchiale ad approfondire nelle prossime settimane la figura di Piergiorgio Frassati per poi decidere insieme quando  intitolagli la Hall ed è con loro che si valuterà l’ampliamento della chiesa e l’eventuale acquisizione di altri spazi in un’altra zona del quartiere, magari per un dispensario».

«Perché la comunità continua a crescere» ha ricordato Jessica, la guida del Consiglio pastorale ripercorrendone le tappe e sottolineando, tra le ultime, la cappella dell’Adorazione e il giardino della preghiera con la via Crucis che culmina nel sepolcro vuoto,  dove ogni giorno le persone  hanno uno spazio per il silenzio e la contemplazione. Preghiera come «struttura portante» di una la comunità che cresce attorno e grazie ai nostri sacerdoti e a quel legame che continua con Torino alimentato anche dalle semplici visite che nel tempo si sono succedute, ma che sono rimaste impresse. Chi ricorda don Claudio Baima Rughet, chi chiede dei ragazzi e dei «giovani seminaristi» che quest’estate Tassia ha ospitato per una esperienza di missione, chi come Sharon fa memoria di quella tappa torinese nei giorni della Giornata Mondiale della gioventù, prima di raggiungere Cracovia. «Bella Torino, ma poca gente…». Poca certamente rispetto al «mare di Nairobi» che giorno e notte è un brulicare di vita. Soprattutto bambini, ad ogni angolo: bambini che ti vengono incontro curiosi, ti chiedono come stai, sono contenti di farsi fare le foto e di rivederle, ti studiano… Bambini che sono il futuro di ogni comunità in ogni parte del mondo e che negli abbracci e nei saluti trasmettono il volto di Tassia: un volto sereno, entusiasta,  che ricava gioia, pur nelle condizioni difficili e spesso drammatiche di vita, dalla preghiera condivisa e dal sostegno vicendevole. Questa la «restituzione» alle nostre comunità qua, il messaggio che lasciano a chi ritorna: «popoli e lingue diverse sono parte dello stesso regno, sono rivelazione delle mille sfaccettature dell’opera fantasiosa dello Spirito, è bello e arricchente conoscerle e trarne fiducia per affrontare insime  cammini che a miglialia di chilometri hanno la stessa meta…».

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