Il crollo delle nascite «spegne» Torino. I posti disponibili nelle scuole dell’infanzia, comprese tutte le scuole paritarie, sono 21.343, ma ne servono solo più 20.887. È il ciclo della vita, certo. Ma che malinconia pensare agli anni andati… Porte chiuse e anche scuole chiuse. Tutti ricordiamo le liste d’attesa negli anni del boom economico. Oggi chi cerca un posto lo trova senza problemi: circa il 34% nelle scuole comunali, altrettanti nelle statali, oltre il 30% nelle paritarie convenzionate o meno.
Sono i primi «segnali di fumo» che arrivano dalle periferie della città. Il diagramma, inesorabile, scende. Entro il 2022 mancheranno all’appello negli asili-nido altri 2.400 bambini e la popolazione complessiva nelle scuole dell’infanzia scenderà a 16.500. E poi, via via, i vuoti si estenderanno alle materne e agli altri gradi di istruzione. In Comune si sta cercando di capire come, dove e quando intervenire.
Il caso di Mirafiori. Ecco Mirafiori, oggi, la punta di un iceberg che cresce. Abbiamo parlato con insegnanti in pensione che ricordano con nostalgia gli anni della «grande Fiat», del vociare confuso nei corridoi e nei cortili, dei treni del sole, dei doppi turni. Tutto finito. Dove le aule erano piene, ora spiccano i segni dell’abbandono.
Ovvio, parte la razionalizzazione: tre scuole chiuse per un totale di 260 posti. Ma non basta, quest’anno restano circa 400 posti vuoti tra comunali e statali e oltre 400 nelle paritarie, circa 900. L’inizio di una terremoto. La diminuzione dei ragazzi è costatante, continua, inarrestabile.
Arriveremo a superare i 2.500 posti vuoti solo nelle scuole d’infanzia per poi salire negli altri gradini delle scuole. Non c’è solo la malinconia delle insegnanti che hanno gestito con mille sacrifici il periodo del boom, c’è una città che deve correre ai ripari.
La tristezza è quella di chi ha visto la fine di un mondo, di quel mondo: gli insegnanti a Mirafiori come in Barriera Milano o a Santa Rita i quartieri simbolo del boom economico degli anni ’60. Mirafiori. Il villaggio intorno alla grande fabbrica. Palazzoni di case popolari tirate su in pochi mesi, lì dove c’erano campi e mucche e pecore al pascolo. Il nuovo inizio di migliaia di famiglie.
Allora le strutture scolastiche non erano in grado di affrontare la situazione. La popolazione era troppa. Si facevano anche i tripli turni. E al momento delle iscrizioni c’erano file lunghissime in segreteria. Una processione di mamme. Le classi erano tantissime.
Fu un vero terremoto sociale. Nuove case, nuovi quartieri, nuove scuole. In alcuni anni, le sezioni arrivarono alla lettera U. C’era un grande entusiasmo, unito alla convinzione che si stesse costruendo qualcosa di grande. Si pensava che la scuola fosse l’elemento centrale per risolvere i problemi. Poi piano, piano le cose cambiarono e le sezioni diminuirono. Oggi sono ridotte al lumicino.
I tagli a Torino. A Torino, il numero di bambini è in costante crollo dal 2009. Solo negli ultimi 5 anni sono state cancellate 20 sezioni di asilo. E quest’anno va anche peggio: 900 posti vuoti alle scuole materne, 20 prime elementari in meno in tutta la città. Solo a Mirafiori 3 asili chiusi definitivamente. Altre chiusure scongiurate grazie all’intervento di mamme coraggio, di comitati ed anche dell’arcivescovo Cesare Nosiglia.
Racconta una mamma: «Da un lato c’è la questione organizzativa delle famiglie. Se hai più figli devi chiederti come gestirli e spostarli da una scuola all’altra. Poi il tema del quartiere. Una scuola che chiude è una sconfitta per tutti¸.
Calo demografico. La scuola riflette per prima il calo demografico generale. In Italia popolazione in calo dal 2015. Crisi di natalità paragonabile solo agli anni del primo dopo guerra. Nel 2018, dice l’Istat, nel nostro paese sono nati appena 449 mila bambini. Erano un milione nel 1964, quasi 600 mila nel 2008. Una rivoluzione per la società italiana.
Dicono gli esperti: «È come un omino con una testa molto grande, spalle più robuste, corpo via via più esile con piedini piccoli. La testa è la popolazione anziana oltre i 65 anni, le spalle gli adulti che stanno per andare in pensione. Man mano che si scende la popolazione diventa più esile fino ad arrivare ai piedini che sono i pochi nati degli ultimi 5-6 anni. Chi scommetterebbe sulla stabilità di questo omino? Nessuno. Di conseguenze ce ne sono tantissime. Sicuramente conseguenze di natura economica e di sostenibilità del welfare».
Città di vecchi. Mirafiori è lo specchio di quello che sta accadendo: il quartiere di Torino con l’indice di vecchiaia più alto. Punte superiori a 280. Significa che per ogni cento bambini, qui vivono quasi 300 anziani. Sono i giovani di ieri. Ognuno racconta la sua storia nei pochi circoli rimasti aperti o nei bar che resistono. Parlare con loro è un mare di esperienze: c’è chi il lavoro l’ha trovato in quattro giorni, chi rivede i negozi che ora sono serrante abbassate, una lunga fila di serrande abbassate. Tutti (o quasi) nonni che, nei giardini, troppo spesso con l’erba alta, rimpiangono le urla dei ragazzi, le loro corse tra gli alberi di corso Traiano o appena dietro corso Unione Sovietica dove c’era anche la «quinta lega» dei sindacati ed una sera d’autunno vidi arrivare, avvolto in un cappotto grigio, il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il declino è iniziato negli anni ’80. Poi dagli anni ’90 sono andati via in tanti..
La crisi della Fiat si è portata via tutto. Insieme ai cambiamenti demografici. In una città che in 40 anni ha perso più di 200 mila abitanti. I bambini di allora sono andati a vivere altrove. Le famiglie giovani sono pochissime. Mirafiori è un quartiere che invecchia perde strutture e servizi. A lungo andare non diventa appetibile. La gente è portata a migrare in alte zone o città…
Prove di resistenza. Tutto finito dunque? Oggi nel quartiere la battaglia è contro la chiusura dei negozi, degli uffici postali, dei servizi. A livello generale invece, tutto si sposta sulle politiche per famiglia, giovani e natalità. Su nuove idee per rendere attrattive città e periferie. A Mirafiori c’è chi prova a resistere. L’associazione Aris con il progetto «Alloggiami» ha ospitato quasi mille studenti da tutto il mondo negli stessi palazzoni lasciati vuoti. Dicono due di loro, un indiano e un italiano: «Sono qui da tre anni. Tutto è partito da google. Ho cercato un social housing e sono finito qui. Il quartiere è bello. Ci sono anziani ma è molto silenzioso»; «Vedere l’arrivo di tutti questi ragazzi da tutto il mondo ti apre la mente, ti arricchisce. Ho conosciuto tanti coetanei. Nuove amicizie ma anche possibili collaborazioni di lavoro. Sono davvero contento». «La comunità era rassegnata a morire. Invece noi volevamo dei giovani che ci dicessero che il quartiere aveva ancora risorse e buone possibilità».
Tanta volontà ed entusiasmo. Solo una goccia nel mare? A Mirafiori, come nel resto d’Italia, solo il tempo avrà l’ultima parola. Certo molti sono stati gli interventi per migliorare il quartiere. Però vedere come tutto si stia impoverendo e manchi il ricambio generazione fa dire: come sarà il quartiere tra 15 anni, cosa accadrà? Le scuole sono sempre state al centro del «villaggio», quando spengono le luci non c’è solo tristezza. È un mondo che se ne va.