Torino è ormai trainata dal terziario

La grande trasformazione – Proporzioni invertite: ormai il sistema industriale produce meno del 25% della ricchezza, il comparto dei servizi totalizza quasi il 75%. Negli anni Cinquanta la manifattura e l’edilizia erano il 64% della ricchezza

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L’afflusso di turisti a Torino, le code davanti ai musei, lo sviluppo delle strutture universitarie e della ricerca rilanciano ogni giorno un interrogativo che aleggia sul capoluogo piemontese da due decenni: eravamo una città industriale, ci stiamo trasformando in una città del terziario? E a che punto è questa trasformazione?

I dati Istat consentono di dare qualche risposta oggettiva, per non farci condizionare da sentimenti nostalgici o dalle prese di posizione preconcette. Sono dati – anticipiamo la conclusione – secondo cui il 70% della ricchezza dell’area torinese proviene ormai proprio dal terziario.

Sono dati parziali, perché mancano monitoraggi completi su tutti i settori del terziario, a cominciare da quelli più rilevanti come il commercio e i servizi professionali, tecnici e finanziari. In alcuni casi dobbiamo accontentarci di dati regionali anziché provinciali. Per una riflessione seria sulle potenzialità dell’area torinese occorrerebbe – senza perdere tempo – l’istituzione di un Osservatorio sul Terziario Torinese, nel quale raccogliere e implementare le informazioni.

Dall’industria al terziario.  Nel 1951 l’industria (che comprende le attività manifatturiere, di produzione e distribuzione di energia, gas e acqua) produceva il 64,4%  dell’area ricchezza dell’area metropolitana torinese, l’ex provincia. Il settore terziario, ovvero quello dei servizi di cui stiamo parlando, produceva il 28,4%, l’edilizia il 4,1%, l’agricoltura il 3,1%.

Nell’arco di più settant’anni il quadro è profondamente mutato, le parti si sono invertite. Nel 2020 il contributo dell’industria risultava sceso al 24,9%; quello del terziario salito al 74,5%. Il peso della manifattura è calato dal  64,4% al 21,2%; quello delle costruzioni è rimasto lo stesso mentre quello dell’agricoltura risulta sceso dal 3,1% allo 0,6%.

Questa profonda trasformazione è documentata anche dal mercato dell’occupazione. Se prendiamo in considerazione i lavoratori della provincia di Torino nel 1971, rileviamo che cinquant’anni fa il comparto manifatturiero dava lavoro al 64,5% degli occupati (476 mila persone), mentre i servizi assorbivano solo il 29,5%, l’edilizia il 4,5%.

Nei decenni successivi, la quota di addetti assorbita dalle imprese del terziario è cresciuta in modo costante e a ritmi sostenuti attestandosi al 66% nel 2022, mentre la quota di addetti assorbiti dalle imprese manifatturiere è scesa al 27,2%. Nell’arco di cinquant’anni   la manifattura ha perso 260 mila addetti; il terziario ne ha guadagnati 309 mila, il settore delle costruzioni 15 mila.

Secondo l’Istat il terziario nell’ex provincia di Torino occupa attualmente 641 mila persone, ovvero il 70,8% dei lavoratori.

Terziario, cioè precario. Secondo i dati dell’Osservatorio Inps sul Precariato nel 2022 sono stati attivati in Piemonte 489 mila nuovi rapporti di lavoro: il 14,2% nell’industria; il 6,4% nelle costruzioni, lo 0,3% nell’agricoltura e il restante 80% nei comparti del terziario, percentuale che sale all’83% se i nuovi assunti sono giovani fino a 29 anni di età e scende al 75% se i nuovi assunti hanno più di 51 anni. Nel corso del 2022 solo il 12,6% dei nuovi assunti giovani  è andato a lavorare nell’industria.

Oggi, se vuoi trovar lavoro, vai a cercarlo nel terziario. Ma devi sapere che, in larghissima parte, si tratta di lavoro precario. Sempre i dati dell’Osservatorio Inps mostrano che nel 2022 l’80% delle nuove assunzioni nel terziario dell’area torinese è avvenuto con contratti precari; nell’industria la quota dei contratti precari scende al 53%; nelle costruzioni al 62,5%.

Quale terziario. Nel 2022 la Camera di Commercio di Torino ha censito 223.025 imprese in attività, per metà (107.176) con sede nel comune capoluogo. Circa il 70% opera nel terziario.

Secondo l’Istat, dati 2019, il contributo più consistente (24,6%)  alla produzione di ricchezza proviene da un ampio aggregato di imprese impegnate tra l’altro nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione. Seguono i contributi forniti da un aggregato di cui fanno parte la pubblica amministrazione, l’istruzione, la sanità e l’assistenza sociale (18,5%). Seguono ancora le attività immobiliari (18%), le attività professionali scientifiche e tecniche (15,1%), le attività finanziarie e assicurative (9,6%), i servizi di informazione e comunicazione (8,4%) e le attività artistiche, sportive e di intrattenimento divertimento (5,8%).

L’esatto peso della Cultura. Secondo dati forniti dall’Osservatorio culturale dell’Ires Piemonte nella relazione annuale 2021/2022 su «La cultura in Piemonte», il Sistema culturale e creativo del Piemonte, di cui fanno parte le industrie creative, le industrie culturali, le performing arts e arti visive e il patrimonio storico e artistico, nel 2021 ha prodotto in provincia di Torino un valore aggiunto di 3,5 miliardi di euro, pari al 5,3% della ricchezza prodotta nell’area torinese. Il 68% proviene dalle industrie culturali (audiovisivo e musica, videogiochi e software, editoria e stampa).

Secondo la stessa fonte, nel 2021 il Sistema culturale dà lavoro a 52.786 persone, il 5,3% del totale degli occupati: 1699 sono impiegati nelle industrie creative; 30.720 nelle industrie culturali, 248 nel comparto delle performing arts e arti visive   e 1807 nel «patrimonio storico e artistico». Rispetto al 2019 gli occupati in questo setgtore sono scesi di circa 1000 unità.

La Relazione Annuale dell’Ires fornisce anche dati interessanti sui «lavoratori dello spettacolo», di cui fanno parte in ordine di numerosità i lavoratori degli impianti, dei circoli sportivi, gli attori, i concertisti e gli  orchestrali. In provincia di Torino nel 2021 sono 9.256. Rispetto al 2019 si sono ridotti del 12%. Il 79,5% è costituito da personale alle dipendenze.

L’esatto peso del Turismo. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Turistico della Regione Piemonte, il 2022 è stato un anno molto positivo per il turismo nella regione subalpina. Rispetto al 2021 gli arrivi sono cresciuti del 56,7%; le presenze del 51,4%. In provincia di Torino è andata ancora meglio: gli arrivi sono cresciuti del 75%; le presenze del 60,6%.

Una stima della consistenza del settore in Piemonte si può ricavare da un paper dell’Ires Piemonte dal titolo «I numeri del turismo e le potenzialità del Nord Ovest». Secondo questo studio il turismo in senso stretto, costituito dai servizi di alloggio e ristorazione, produce in Piemonte un valore aggiunto di 3,4 miliardi di euro e dà lavoro a 90.300 persone.

Interessanti i dati sul «tasso di turisticità», ossia sulle giornate di presenza di italiani e stranieri nel complesso degli esercizi ricettivi per abitante. In Piemonte il tasso è 3,6, in Lombardia 4,1, in Valle d’Aosta e in Liguria, regioni tradizionalmente a vocazione turistica, il tasso è rispettivamente 17,8 e 12,7.

Il pubblico impiego. Nel 2021 in provincia di Torino i lavoratori pubblici risultano 118.451: equivalgono al 13,1% del totale degli occupati e al 16,8% degli occupati alle dipendenze. Le donne impiegate in questo settore sono 78.243, pari al 66% del totale.

Il comparto più numeroso è quello della Scuola con 42.489 addetti pari al 35,7% del totale,  seguito dal Servizio Sanitario con 30.297 addetti (25,6%), dagli Enti locali con 19.500 occupati (16,4%) e dalle Forze Armate, Polizia e Vigili del fuoco con 11,931 addetti pari al 10% del totale.

Negli ultimi 8 anni il numero dei dipendenti pubblici in provincia di Torino è diminuito del 2%.

Il settore non profit. Alla fine del 2020 secondo l’Istat il Piemonte annoverava 30.203 (70,4 ogni 10 mila abitanti) enti non profit, con 72.780 dipendenti. Rispetto al 2019 sono diminuite del 2,5%.

Dal punto di vista della forma giuridica, nel 2019 l’84,7% degli enti non profit è costituito da associazioni; il 2,6% da cooperative sociali, il 2,1% da fondazioni, il restante 10,5% da enti con altre forme giuridiche.

Le cooperative sociali assorbono il 64,2% dei dipendenti, le associazioni il 15%, le fondazioni il 6,3%. I restanti enti (comitati, imprese sociali, società di mutuo soccorso) il 14,2%.

Alla fine del 1982 le istituzioni non profit piemontesi erano 2970; nel ventennio successivo ne sono state costituite 12.152, poi altre 9.622 tra il 2005 e il 2014 e 5.267 tra il 2015 e il 2019.

I settori di attività prevalente delle istituzioni non profit piemontesi sono le attività sportive, le attività culturali e artistiche e le attività ricreative e di socializzazione dove opera il 64,4% delle medesime. Seguono, in ordine di importanza, i settori dell’Assistenza sociale e protezione sociale con il 10% e le attività religiose dove opera il 5,9% degli enti non profit.

L’esercito della Partite Iva. Nel 2022 in Piemonte sono state aperte 33.928 nuove Partite Iva, il 5,6% in più rispetto al 2020, ma il 9,7% in meno rispetto al 2019 (prima dell’inizio della Pandemia). Rispetto al 2011 il calo è stato del 12,6%.

A livello di comparti, il 76,7% delle nuove aperture si è verificato nel settore terziario, il 13,2% nelle costruzioni, il 5,7% in agricoltura e il 4,4% nell’industria. All’interno del settore terziario   il 30.9% delle nuove aperture si sono registrate nel commercio; il 22,7% nel comparto delle attività professionali, scientifiche e tecniche; il 9,5% nei comparti della sanità e assistenza e l’8,3% nel comparto del noleggio, delle agenzie di viaggio, nei servizi di supporto alle imprese.

Il 75,9% delle nuove Partite Iva è stato aperto da persone fisiche; il 16,5% da società di capitali e il 4,7% da società di persone. Una situazione molto simile si riscontra in Lombardia, nel Veneto ed in Emilia Romagna.

Il 50% delle nuove aperture è stata fatta da giovani di età inferiore ai 35 anni; il 30,5% riguarda i 36-50enni; il 16,2% i 51-65enni e il 3,1% gli ultra 65enni.

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