La tragedia di un clochard trovato morto nel dehor di un bar della Crocetta dopo la gelida notte del 7 febbraio è tornata a scuotere la coscienza della città rispetto all’emergenza dei senza fissa dimora. Martedì 9 il Prefetto Claudio Palomba ha incontrato il sindaco Appendino e l’Arcivescovo Nosiglia per discutere il perfezionamento della rete di accoglienza notturna (non solo dormitori, ma strutture più piccole e a misura d’uomo). Mercoledì 10 Nosiglia ha riunito le associazioni di volontariato per raccogliere ulteriori proposte da girare alla politica.
La morte del clochard Mostafa Hait Bella – così si chiamava l’uomo di origini marocchine, 59 anni – è giunta al termine di una settimana di forti polemiche sulle operazioni della Questura e del Comune di Torino (Vigli Urbani) nei confronti dei senza dimora. A molti è apparso inumano lo sgombero imposto il 4 febbraio ai clochard che dormivano sotto i portici del centro; grossolane le dichiarazioni del comandante dei Vigili Urbani, Emiliano Bezzon, contro i mendicanti che fanno l’elemosina (27 gennaio); umiliante la rimozione delle povere cose di clochard (abiti, materassi, sacchi a pelo) finite nei cassonetti per azione congiunta dei Vigili e dell’Amiat.
Le azioni di forza contro i poveri appaiono distanti dallo stile e dalla vocazione solidale di Torino. Al punto che il direttore della Caritas Pierluigi Dovis si è domandato se per caso esse non stiano inaugurando la «campagna elettorale» di primavera per l’elezione del nuovo Sindaco. «In ogni campagna elettorale – ha osservato Dovis sul quotidiano Repubblica – si tirano fuori i poveri come argomento di dibattito. Si ideologizza una questione che ha bisogno di un approccio completamente diverso. Si parla di poveri e senza tetto come se fossero una questione di decoro urbano e non di gestione delle fragilità».
Un comunicato diffuso dalla Prefettura getta acqua sul fuoco, respingendo ogni accusa di accanimento delle forze dell’ordine contro i senza dimora. Gli sgomberi del 4 febbraio – secondo piazza Castello – intendevano solo controllare «alcune persone» segnalate da cittadini e commercianti, «pregiudicati e altri individui dediti ad attività illecite, che sono stati allontanati e segnalati all’Autorità giudiziaria».
Il vicesindaco Sonia Schellino difende i Vigili Urbani, che nel giorno degli sgomberi accompagnavano la Polizia: «sono intervenuti solo per affiancare l’Amiat, che periodicamente provvede a pulire i marciapiedi e che anche il 4 febbraio, dopo l’intervento della Polizia, ha gettato nei cassonetti i rifiuti, i cartoni, i materassi che erano stati abbandonati sul marciapiede».
Ma il decoro dei marciapiedi giustifica la cacciata dei mendicanti? Risolve il problema della povertà? No, secondo le associazioni che ogni sera portano coperte e bevande calde ai senza dimora: in tante, dalla Comunità di Sant’Egidio al Gruppo Abele, contestano al Comune e alla Questura gesti e toni che alimentano ostilità nei confronti dei poveri, anziché farsi carico del disagio. Critico anche l’Arcivescovo Nosiglia, che a inizio febbraio aveva invocato una Città capace di «umanità» e che lunedì scorso, intervistato dal quotidiano «La Stampa», si è detto addolorato dallo sgombero di Polizia, «una ferita – ha osservato Nosiglia – che colpisce tutti: non abbiamo bisogno di gesti divisivi, ma di passi concreti verso l’integrazione e l’inclusione di ogni persona».
Il Gruppo Abaele e una lista di altre 15 associazioni di volontariato – fra cui Mamre, Bartolomeo & C., Mensa Sacro Cuore di Gesù – hanno diffuso una nota che esprime preoccupazione per il clima creatosi in città. «Prima le dichiarazioni del capo dei Vigili Urbani (‘Nessuno dia più un centesimo agli homeless del centro: per loro, i portici e le piazze sono un bancomat’), sostenute anche dalla vicesindaca Sonia Schellino, poi l’operazione, presentata come un controllo periodico, di sgombero del centro dai senza fissa dimora, rappresentano un’escalation che riteniamo pericolosa», si legge nel documento. «In nome del decoro delle piazze e dei portici del centro, con l’unico obiettivo di rendere invisibili le situazioni di più grave povertà agli occhi della città, si sta calpestando la dignità dei più fragili, di chi, sotto quei portici e in quelle piazze, è costretto a vivere e contraddice la tradizione solidale di una città come Torino». «Lungi da noi credere che la povertà si contrasti solo con interventi assistenzialistici – leggiamo ancora nella nota delle associazioni – Serve impegnarsi per eliminare le ragioni economiche e politiche che generano emarginazione».
Un altro gruppo di 12 associazioni – dalla Comunità di Sant’Egidio ai Servizi Vincenziani per Senza Fissa Dimora, a Casa di Zaccheo – ha firmato un documento che invita a riflettere sull’impatto umano delle azioni di forza. Il 4 febbraio, quando la Polizia ha ordinato lo sgombero, i senza dimora «si sono spostati docilmente, umilmente, umiliati di essere trattati come immondizia. Il sacco a pelo termico ricevuto in regalo a Natale, le coperte che avevano riscaldato le loro notti più dure, gli avanzi di una cena offerta di cuore per sentire di contare qualcosa per qualcuno… tutto buttato via. La violenza del gesto in sé è chiara, indipendentemente dai toni amichevoli degli agenti delle forze dell’ordine. La sostanza è il disprezzo. Ma il disprezzo non aiuta a risolvere i problemi, e diffonderlo non migliora la convivenza civile».
«Nella nostra città – secondo le associazioni che firmano insieme a Sant’Egidio – non ci sono posti per riparare tutti dal freddo». Il Comune parla di 800 posti letto, ma Sant’Egidio ne ha contati solo 550, «letti allestiti nei dormitori della Città e della Diocesi a fronte di un popolo di senza dimora stimato tra i 1.700 e i 2.500».