Torino in svendita perde Iren e il tesoretto olimpico

Fine anno con le ossa rotte – Il capoluogo piemontese perde il controllo azionario dell’azienda energetica, il Governo requisisce i fondi avanzati dalle Olimpiadi (29 milioni di euro). Magra consolazione per l’amministrazione Appendino: nel 2019 riavrà 7 milioni di euro (su 61) incassati erroneamente dallo Stato centrale.

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Nel febbraio 2012 il «tesoretto» rimasto nelle casse dell’Agenzia Torino 2006 era pari a112 milioni di euro. Sei anni dopo – a luglio 2018 – la cifra appariva quasi dimezzata, dopo gli esborsi sostenuti (43 milioni) per salvaguardare gli impianti lasciati in eredità dalle Olimpiadi invernali. Fu in quella circostanza che Stefano Lo Russo, capogruppo del Pd in Comune di Torino, chiese che l’Amministrazione Appendino si affrettasse a destinare almeno una parte del denaro rimasto in cassa, per evitare il rischio che finisse requisito dal Governo, inglobato nel Bilancio statale.

Quell’avvertimento era purtroppo profetico, premonitore: pochi giorni fa, sotto Natale – proprio mentre l’Amministrazione annunciava di aver ottenuto dal Governo la restituzione di 35 milioni di euro incassati erroneamente da Roma nelle partite di giro sulle tasse – è giunta notizia che una cifra simile, gli ultimi 29 milioni rimasti nel tesoretto olimpico, è stata dirottata dal Governo fuori Torino, su altre voci di spesa. Pagheremo amaramente questi mesi di inerzia: il Comune aveva pronti nel cassetto gli studi di fattibilità, ereditati dalla Giunta Fassino, per la trasformazione di Torino Esposizioni a nuova Biblioteca Civica e centro culturale.

Rammarico per il denaro scivolato via dalle mani della Città viene ora espresso dalle opposizioni, dall’associazione dei Comuni Anci Piemonte e dall’Uncem (Unione comunità montane) piemontese e nazionale, che speravano proprio nel tesoretto rimasto a Torino per premiare le valli olimpiche, Valle di Susa, Val Chisone, con il rilancio turistico, ambientale, economico. Un’occasione sprecata, sulla falsariga della fallita candidatura olimpica della scorsa primavera.

Anche la questione dei 35 milioni «restituiti» a Torino è oggetto di forti polemiche.  I crediti riconosciuti da Roma alla Città saranno pagati in cinque anni, prima rata di 7 milioni nel 2019. Quando era sindaco Piero Fassino, l’Appendino stimò che la cifra da chiedere indietro al Governo Renzi fosse pari a 61 milioni, «non trattabili». Invece ha finito per accettare dal viceministro Laura Castelli, compagna di partito (M5S), l’unica torinese con incarichi di governo, una cifra di poco superiore alla metà.

Una terza questione allarmante per le finanze del Comune, altrettanto deprimente, è stata a fine novembre la vicenda della società energetica Iren, potente azienda di cui Palazzo Civico attraverso FCT (Finanziaria Città di Torino) possedeva il 16% delle azioni ed era azionista di riferimento. Per alleggerire i debiti del Bilancio municipale, l’Amministrazione ha autorizzato la vendita in fretta e furia del 5% delle azioni di questa società multiutility.

Metà delle azioni sono state vendute al ribasso, incassando 20 milioni di euro in meno rispetto alle aspettative. Una tempistica improvvida, destinata a modificare gli equilibri di potere tra Comune di Torino e Comune di Genova che controlla FSU (Finanziaria Sviluppo Utilities) acquirente delle azioni messe sul mercato. Ad operazione conclusa (soci di minoranza di Iren sono indirettamente le amministrazioni di Reggio Emilia, di Parma e un cartello che comprende anche La Spezia e altri comuni liguri) la Città di Torino avrà perduto il suo ruolo di gestione di Iren, con tutte le conseguenze prevedibili sul piano degli investimento a favore della città. Era proprio necessario?

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