Il disimpegno del Comune di Torino rispetto dell’Azienda energetica Iren, cominciato sottotraccia prima di Natale con la vendita di una quota rilevante delle azioni possedute da Palazzo Civico, sta proseguendo nello sconcerto delle opposizioni e potrebbe finire nel caos, a discapito degli interessi della città. Martedì scorso, nella riunione dei capigruppo, Valentina Sganga, numero uno dei Cinquestelle in Sala Rossa, ha usato la solita tattica del rinvio: a chi le chiedeva una data per il voto in Commissione sul nuovo preoccupante assetto azionario dell’Azienda, che nella sostanza sposta il potere da Torino a Genova (Amministrazione di centro-destra), la Sganga è stata vaga: «la maggioranza non ha ancora le idee chiare sull’argomento». Silenzio, insomma, su un nervo scoperto che La Voce e il Tempo segnala da settimane e che gli stessi consiglieri hanno chiesto di chiarire.
A meno di un mese dalla vendita intempestiva (se non altro per la quotazione al ribasso) del primo pacchetto di azioni del Comune di Torino, che ha determinato il passaggio dal 16,3 per cento al 13,8 per cento delle quote azionarie di Iren, sono sempre più evidenti le zone d’ombre dell’operazione finanziaria forzata. In termini di contabilità amministrativa, nei giorni scorsi la Corte dei conti ha messo sotto la lente d’ingrandimento il Bilancio del Comune, contestandone i limiti di soluzioni destinate a coprire le spese correnti, a discapito degli investimenti, di cui la Città ha un estremo bisogno.
Secondo le opposizioni – dal Pd a Francesco Tresso della Lista Civica per Torino ad Alberto Morano, capogruppo dell’omonima lista – la strategia di Palazzo Civico sembra ispirarsi a un unico obiettivo, miope: il pareggio di bilancio a qualunque costo. Anche a costo di sacrificare le prospettive di Torino.
Una riflessione che si salda al segnale d’allarme acceso dagli industriali con il presidente dell’Amma, le aziende metalmeccaniche del Torinese, Giorgio Marsiaj, per il quale l’Iren è strategica per lo sviluppo. Una ulteriore riduzione delle quote azionarie di Torino avrebbe come primo effetto lo spostamento della governance d’impresa e, come secondo, un indebolimento del peso specifico sul territorio su cui, elemento da non trascurare, si prevede di investire entro il 2023,una cifra pari a 860 milioni di euro. Ma la cifra, per quanto importante, di per sé non aiuta a capire fino in fondo la preoccupazione del mondo del lavoro e delle professioni, se non si entra nella storia torinese dell’Iren e di ciò che rappresenta sul piano industriale e occupazionale (3 mila dipendenti), della ricerca (auto elettrica), del raccordo con l’ambiente (attraverso Amiat e la gestione del Termovalorizzatore del Gerbido) e del rapporto con il sistema bancario. Sono fattori su cui non è permesso non avere le idee chiare, perché anche dall’Iren, come dalla presenza di Fca discende la visione di che cosa siamo e di che cosa si può diventare.
L’approvazione del Patto parasociale di Iren, che vede il Movimento Cinque Stelle però affetto da strabismo, poiché i loro gruppi si sono espressi contro nei consigli comunali di Genova e Reggio Emilia, è dunque di fondamentale importanza per il futuro di Torino. E non è auspicabile – nessuna persona ragionevole potrebbe auspicarlo – fare delle proprie quote uno spezzatino da usare per quadrare il bilancio.