Il Comune di Torino ha vietato il 23 febbraio una manifestazione pubblica di opinione contro l’insegnamento della teoria «gender» nelle scuole. È un fatto senza precedenti sotto la Mole, l’Assessorato «alle Famiglie» ha revocato il permesso di sosta presso il Rondò Rivella ad un pullman che sta girando l’Italia per affermare la tradizionale concezione delle identità sessuali: che «i bambini sono maschi, le bambine sono femmine, la natura non si sceglie».
Secondo l’Amministrazione Appendino gli slogan del «Bus della Libertà» (promosso da Generazione Famiglia e CitizenGo Italia) costituiscano una iniziativa «omofoba», da impedire in forza di una mozione votata l’anno scorso in Consiglio Comunale. Ma può un’assemblea municipale mettere il bavaglio alla libera espressione del pensiero, sancito dall’art. 21 della Costituzione?
Non c’è bisogno di entrare nel merito della questione dell’educazione sessuale nelle scuole – pure importante – per saltare sulla sedia di fronte al divieto di manifestare dissenso, segnale pessimo per la democrazia. L’assessore Marco Giusta ha riconosciuto che il Comune inizialmente aveva autorizzato la manifestazione, presentata come sit-in «sulla salute psicofisica dei bambini», poi la vietata perché il suo vero obiettivo sarebbe stato quello di criticare «una fantomatica ‘colonizzazione ideologica’» sui temi gender. Censura «per omofobia».
Con un comunicato diffuso il 27 febbraio il «Comitato Difendiamo i nostri figli di Torino» ha espresso solidarietà al Bus della Libertà, presentatosi comunque a Torino la mattina del 23 febbraio e multato dai Vigili Urbani. I referenti Daniela Bovolenta e Gianluca Segre denunciano «la dittatura del pensiero unico: o si pensa come dettano gli Lgbt, o si è tagliati fuori, e multati come accaduto al Bus».
Si interroga sulla vicenda la pedagogista Maria Paola Tripoli di FederVita Piemonte, già ispettore scolastico Miur: «oggi si vuole imporre nella scuola l’idea che maschio e femmina siano un’optional…».
Di censura inaccettabile parla anche l’ex assessore regionale alla Cultura Gampiero Leo. «Aldilà di come ognuno la possa pensare (io mi riconosco in quel che dice Papa Francesco), è più che mai il caso di ricordare la famosa frase, ‘non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa esprimerle’».