Torino sostiene la “scuola virtuale” di 7 ragazzi siriani

Unità pastorale 9 – Le comunità di Borgo Campidoglio che nel 2019 hanno accolto, attraverso i corridoi umanitari, una famiglia di profughi dalla Siria, ora sostengono i figli nella didattica a distanza

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Febbraio vacanze di Carnevale, ultimo giorno di scuola… Anche per chi l’aveva da poco scoperta, non tanto per l’età, ma per la sua storia di profugo scappato alla guerra, vissuto in un campo in condizioni dove la sopravvivenza è già la prima conquista. Ultimo giorno dunque per i 7 figli di Mariam e Jasem, siriani, arrivati lo scorso settembre dal Libano attraverso i corridoi umanitari e grazie all’accoglienza realizzata, con il progetto «Per chi ama le sfide», dalle parrocchie dell’Unità pastorale 9 – Sant’Alfonso con l’associazione Giuliano Accomazzi. Per loro era appena iniziata quell’avventura che dovrebbe essere il diritto di ogni bambino: la possibilità di imparare, di fare amicizia con i compagni di scuola, di vivere momenti spensierati e di crescita nelle loro aule.

Uno dei bimbi siriani alle prese con una lezione

Il problema iniziale era ovviamente la conoscenza dell’italiano e l’adeguare il bagaglio di competenze e conoscenze con cui sono arrivati in Italia  con il percorso scolastico richiesto dal nostro ordinamento. Ma come era già accaduto per la famiglia dei cugini, accolti nel 2017 dalle stesse parrocchie, si era subito attivato un «doposcuola» grazie ad gruppo di una ventina di volontari: ex insegnanti, genitori, docenti, pronti a mettersi a disposizione nei locali della parrocchia di Sant’Alfonso. «Con il blocco delle lezioni», spiega Micaela Griffa, «e il divieto di ritrovarsi in oratorio, la situazione è risultata evidentemente complessa: per mancanza di supporti elettronici adatti alla modalità on line, per la conseguente scarsa abilità nel gestire la didattica virtuale proposta, per la difficoltà ad autogestire, tra le mura di casa ben 7 percorsi differenti: un ultimo anno della scuola dell’infanzia, una prima elementare, una seconda elementare, una prima media  una terza media e due Cpia (Centro per istruzione degli adulti dai 16 anni)». Ma il gruppo dei volontari si è prontamente attivato «suddividendosi» gli studenti e garantendo un supporto quasi quotidiano, in dialogo con l’Istituto Comprensivo Alberti, i cui isegnanti hanno offerto disponibilità e collaborazione,  chi ragazzi frequentano. Mancava il wifi, non c’era nemmeno un computer a disposizione, solo i cellulari dei due genitori.

«Una esperienza, quella dell’affiancamento scolastico», testimonia Andrea Martelli,  «che ci ha aiutato a conoscere meglio i ragazzi e ad adattarci ad ogni imprevisto: con R. ad esempio bisogna inventarsi ogni volta un modo per tenere alta l’attenzione. Poi verificare se un’addizione è stata fatta in modo corretto sarebbe facile se l’immagine fosse fissa e magari anche a fuoco. Spiegare un problema sarebbe ancor più facile se si potesse usare un semplice pezzo di carta e una bella penna. Se aggiungiamo il problema della lingua inevitabile sarebbe lo scoramento. Ma R. ti aspetta, ti chiama, e ha voglia di fare, di fare i compiti e di farli giusti: quando il risultato è corretto si esalta e tu gioisci con lui. Quando ti manda la foto della pagina del suo quaderno per farti correggere  le operazioni ogni tanto la foto è scentrata e ne manca un pezzo ma al suo posto, in secondo piano, compaiono i suoi piedi scalzi  sotto il quaderno». «H. è più grande», prosegue, «fare i compiti con lei vuol dire mettersi in gioco perché da una semplice regola grammaticale ci si ritrova senza neanche esserne resi conto a parlare di piscina, di musei, di religione… insomma è uno scambio culturale intenso e reciproco. Non sempre la chiamata è fruttuosa e stimolante: a volte si è stanchi o distratti, ma mediamente è uno stimolo e un arricchimento, oltre che un piacere e una scoperta. Con i piccoli non è facile comunicare solo attraverso un telefonino e a volte sembra che le cose che vuoi trasmettere cadano nel vuoto, ma all’improvviso ecco la sorpresa: alla lezione sulle sillabe che avevi inviato con un breve filmato ‘fatto in casa’ la risposta arriva affascinante con un filmato fatto dallo stesso bimbo con sua sorella, A. di 5 anni ».

E alla testimonianza di Andrea fanno eco le parole di Maria Teresa Massa, alle prese con una didattica inattesa quella della scuola materna, «inserita nel gruppo whatsapp della sua sezione ho iniziato a mandarle le fiabe più semplici da ascoltare, poi stiamo preparando lavoretti per familiarizzare con l’alfabeto, consapevole che a distanza lavorare con lei significa prevedere l’aiuto di un fratello o sorella che a loro volta però hanno i loro percorsi di studio…».

Storie di incastri di orari, di modalità differenti che i volontari hanno escogitato ma  accomunati da una sensazione che Marina Ugetti che quasi ogni giorno segue F. spiega così: «ha un bellissimo carattere: sorride sempre e non si arrende mai, anche se ne ha passate di tutti colori. Dopo le bombe e il campo profughi, finalmente al sicuro, stava tentando di inserirsi in classe ed è arrivata la pandemia. Ma lei non molla, e, con grande determinazione, si prepara all’esame di terza media. Io forse le insegno qualche parola di italiano, ma da lei imparo molto di più…».

Volontari che insegnano e volontari che imparano: «ad ogni incontro con i ragazzi, si crea uno scambio culturale interessante», conferma Davide.  E le lezioni sono anche occasione per alleggerire il peso di una epidemia che appare ancora più ingiusta verso chi è appena scampato a condizioni come quelle dei campi, lo testimonia Anna Leone descrivendo una lezione: «Grazie a Skipe vedo bene sullo schermo B. con cuffia in testa e cellulare in mano. Facciamo insieme italiano e una pagina di storia. Poi mi chiede ‘…mi aiuti anche per religione che è difficile?’. Dobbiamo completare un cruciverba sulla Settimana  Santa  e quando alla definizione ‘lo è di spine’ io suggerisco ‘corona’ prontamente aggiunge ‘coronavirus!’. L’associazione è stata immediata..!». Tra i volontari c’è infine  chi ricorda l’importanza dell’essere squadra: «Con F. studiamo assieme matematica. Non ha poi alcuna abitudine alla vita scolastica, per cui anche solo svolgere degli esercizi sembra un compito insormontabile. Forse anche a causa della necessità di aiutare nella gestione della famiglia. Qui essere ‘squadra’ aiuta! Bisogna proprio un po’ inventarsi come procedere… ». «Con questa nuova modalità», aggiunge Lorenzo Cissello, «l’impegno che prima era concentrato in quell’ora al mercoledì pomeriggio è diventato più elastico, si spalma su più giorni, in momenti e modalità  diversi…», «Tutto scombussolato», fa eco Anna Rapelli «ma anche questa è una sfida».

La sfida di un gruppo che non si è «bloccato» , e che continua a credere che accompagnare i ragazzi nella scuola sia «il cuore dell’accoglienza e il fondamento di un futuro di pace per tutti».

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