Finalmente torna a volare la Cupola della Sindone

Torino in festa – Il 27 settembre ha riaperto la Cappella 21 anni dopo l’incendio, l’Arcivescovo Nosiglia il 28 settembre ha presieduto una Messa di ringraziamento in Duomo. Intervista esclusiva al prefetto Moscatelli che nel 1997 avviò i restauri: “dopo il rogo la guglia avrebbe potuto crollare”. L’intervento dell’Arcivescovo – Gallery inaugurazione – Le prime immagini – Il programma 

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In questa intervista Mario Moscatelli, il Prefetto che nel 1997 avviò i restauri della Cappella di Guarini, offre per la prima volta al nostro giornale il suo racconto dei giorni che seguirono l’incendio, quando si temeva la Cupola potesse crollare.

Cosa ricorda di quei giorni?

Mi ero insediato in città da pochi mesi e quella notte di venerdì 11 aprile 1997 ero in Duomo, col sindaco Castellani ed il cardinale Saldarini, davanti all’impressionante visione delle fiamme all’interno della Cappella della Sindone che, alimentate dal vento e dai materiali presenti, resistevano agli idranti dei Vigili del Fuoco e minacciavano di estendersi al Duomo ed al tetto del Palazzo Reale. Eravamo tutti sbigottiti e fortemente turbati.

Come si comportò in quel frangente?

Rimasi colpito dall’alto crocifisso dell’altare maggiore che si stagliava immobile davanti alla furia del fuoco. Mi ci appellai con tutte le forze. Poi una squadra di Vigili del Fuoco guidata dal comandante Michele Ferraro, sfidando le fiamme, riuscì ad infrangere il cristallo di protezione e porre in salvo la teca che conteneva la Sindone. I potenti getti d’acqua dei mezzi antincendio dell’aeroporto invece ebbero ragione delle fiamme soltanto alle cinque del mattino successivo;  per poterli utilizzare avevo disposto la temporanea chiusura dell’aeroporto di Caselle. I danni dunque furono molti, ma la Sindone era salva. Fu un momento operativo, ma anche di grande coinvolgimento emotivo.

Poi lei fu nominato Commissario per i lavori straordinari di recupero.

Sì, entrai nella pienezza dei poteri tre giorni dopo, il 14 aprile. Nel frattempo i Vigili del Fuoco avevano già accertato che le catene di ferro che cingevano la cupola guariniana, dilatate dal fuoco e spezzate, potevano provocare il collasso dell’intera costruzione con il coinvolgimento della cupola del Duomo e dell’ala sinistra di Palazzo Reale. Ero consapevole che occorreva agire con la massima rapidità per salvare le strutture portanti della costruzione. Dopo aver ricevuto assicurazione da parte del procuratore della Repubblica Marzachì che, per il momento, non si sarebbe proceduto al sequestro giudiziario degli immobili interessati dall’incendio, domenica 13 aprile, pur senza avere né poteri né mezzi finanziari, disposi, d’intesa col presidente della Regione Enzo Ghigo, l’esecuzione, con fondi regionali, di lavori per la copertura provvisoria del tetto dell’ala sinistra di Palazzo Reale. Contemporaneamente, con una operazione ardita, i Vigili del Fuoco, sospesi ad una altissima gru, iniziarono a cingere la cupola della Cappella con una cerchiatura provvisoria di funi d’acciaio per impedirne il crollo

I danni furono subito chiari?

Certamente, fu subito chiaro che era andato perduto circa l’80% del prezioso ed originalissimo decoro lapideo, letteralmente esploso per le temperature sviluppate dall’incendio e che occorreva salvare le strutture portanti. La protezione strutturale di tutto il complesso comportava la progettazione e la realizzazione di un «castello di puntellazione» della Cupola, all’interno della Cappella, dell’altezza di 54 metri, e di uno «scudo» nel grande portale di comunicazione tra Duomo e Cappella all’altezza delle due colonne per il puntellamento dell’arco che le sovrasta. I tempi previsti per la completa messa in sicurezza della Cappella e la restituzione del Duomo alle funzioni religiose impegnavano quasi tutto il primo semestre del 1998.

Ma nel 1998, fra aprile e giugno, era stata programmata l’Ostensione della Sindone.

Infatti. Perciò già nel luglio 1997 il cardinale Saldarini mi chiese l’assicurazione della disponibilità del Duomo per quel periodo, per poter proseguire nella organizzazione della Ostensione.

E Lei assicurò. Oggi a distanza di tanti anni ce lo può dire, fu tutto così semplice?

Al contrario. Per aver disposto lavori che, per la loro complessità, sfuggivano ad una tempistica di certa realizzazione, mi trovai nella condizione di dover assumere la responsabilità di assicurare o meno la messa a disposizione del Duomo in una situazione di grande incertezza: la mancanza di garanzia avrebbe infatti comportato l’annullamento della programmata Ostensione; con l’assenso, invece, avrei dovuto affrontare il rischio di una non improbabile complicazione e/o interruzione dei lavori che avrebbero compromesso la realizzazione dello straordinario evento, ad organizzazione già avviata, con riflessi assai negativi, sul piano non solo nazionale, per l’immagine della Città.

Quindi?

Privilegiai l’ottimismo della volontà rispetto al pessimismo della ragione. Diedi assicurazione al Cardinale che avrei messo il massimo impegno per far terminare i lavori in tempo utile. Mi venne riferito che un alto prelato fu sentito sussurrare al cardinale «questo prefetto si illude e ci illude». Qualche giorno dopo ricevetti una lettera con cui mi si chiedeva formalmente quanto già richiestomi a voce. Confermai la risposta positiva con il sostegno del presidente della Regione Ghigo, della Provincia Bresso e del Sindaco di Torino Castellani, i quali concordemente mi avevano rappresentato la grande importanza che rivestiva per la Città lo svolgimento della straordinario evento. Ero consapevole e preoccupato per la responsabilità che mi ero assunto e così mi improvvisai «direttore dei lavori… aggiunto» con quotidiani accessi al cantiere per responsabilizzare con la mia presenza maestranze e tecnici impegnati nella difficile opera. I lavori ebbero regolare corso grazie soprattutto al supporto della Commissione che mi affiancava composta dagli architetti delle competenti Soprintendenze Lino Malara, Daniela Biancolini, Mirella Macera ed Enrica Spantigati; dai rappresentanti del Comune di Torino Giovanbattista Quirico e Sergio Brero, del Provveditorato alle Opere Pubbliche Alfio Leopardi, della Provincia (assessori Rivalta e Campia) e della Regione (Alberto Vanelli); dai funzionari della Prefettura Giuseppe Forlani, Renato Pisani e Francesco Garsia. Nella progettazione dei lavori strutturali fu determinante l’altissima professionalità degli ingegneri Macchi, Nascè e Napoli.

Come furono affidati i lavori?

Per l’affidamento dei lavori, del valore complessivo di circa 27 miliardi di lire, avrei potuto procedere, in quanto Commissario straordinario, anche a trattativa privata. Non ne feci neanche una. Tutti gli appalti furono affidati con bandi di gara comunicati via fax ed ai quali vennero invitate a partecipare le ditte iscritte negli appositi elenchi del Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche e del Comune di Torino. Ad una gara un concorrente offrì un ribasso del 50% che considerammo anomalo per cui andava escluso. Volle però dare spiegazioni per la sua strana offerta e chiarì che considerava fortemente promozionale il coinvolgimento dell’azienda in lavori sui quali erano appuntati gli occhi del mondo. Riscontrata la fondatezza di quanto asseriva, confermata anche dalla reputazione goduta nel settore, divenne aggiudicatario dell’appalto che fruttò un notevolissimo risparmio per l’erario.

Altri ricordi?

Il collocamento dello «scudo» sotto l’arco che separa il Duomo dalla Cappella. L’operazione, assai delicata perché il manufatto del peso di circa 16 tonnellate doveva scorrere per qualche metro su appositi binari, si protrasse fino a notte inoltrata, qualche giorno prima del Natale 1997. Fu quello un momento che vivemmo con molta ansia e trepidazione perché la messa in sicurezza dell’arco dava la garanzia per lo svolgimento dell’Ostensione della Sindone. Il felice esito lo festeggiammo, in quella gelida notte all’interno del Duomo, insieme al dott. Forlani capo di Gabinetto della Prefettura, al titolare dell’impresa ed alle maestranze che avevano preso parte alla difficile operazione. I lavori furono portati a termine regolarmente e nei tempi previsti, grazie anche al premio di accelerazione, previsto dalla legge sui lavori pubblici per le aziende coinvolte negli appalti più complessi. L’impegno e le mie preoccupazioni furono ricompensate col conferimento del Premio Caccia assegnatomi dai dieci Rotary club di Torino il 10 maggio 2000, ma soprattutto dal privilegio di potermi avvicinare al Telo Sindonico con mia moglie Marica la mattina del 16 aprile 1998 prima che venisse definitivamente collocato nella nuova teca destinata all’Ostensione che iniziò il 18 aprile successivo.

Cento anni di studi e anche di dibattiti e convegni sulla Sacra Sindone hanno sollevato e continuano a sollevare discussioni e contrasti di opinione. Lei non ne ha?

Il «rumore» delle ricerche storiche e scientifiche cessa di colpo nell’attimo in cui si sosta davanti al «lenzuolo». Il silenzio assoluto che grava tutt’intorno è rotto, nel nostro intimo, dalla straordinaria «muta» eloquenza di quel corpo umano che ci parla con forza della morte di fronte alla quale nulla possiamo, del dolore, che l’uomo sa infliggere ai suoi simili, della speranza in un destino diverso che, con la fede o con la ragione, continuamente coltiviamo. Nel colloquio che istintivamente e immancabilmente si instaura con l’impronta dell’«uomo dei dolori», non hanno alcun posto i risultati delle ricerche scientifiche e storiche nelle diatribe sulla datazione del telo di lino: in quei momenti, sulla ribalta della coscienza, cuore e mente si interrogano molto intimamente e con inconsueto desiderio di verità, sul senso della vita, sulla responsabilità che avvertiamo gravare su di noi e che invece cerchiamo spesso di nascondere dietro l’effimero di tante quotidiane banali occupazioni. In quel silenzio, così eloquente, si avverte il desiderio di diventare assertori ed operatori di pace perché il «flagellum» non si abbatta più sulle carni di nessun essere umano. Quel silenzio l’ho rivissuto il 24 maggio 1998 quando il Pontefice Santo Giovanni Paolo II ha offerto la testimonianza visiva della sofferenza fisica sopportata con stoica determinazione per lanciare, anche da Torino, la sua accorata esortazione a farsi carico del dolore che dovunque si abbatte ancora su uomini, donne e bambini.

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