Quarant’anni or sono, il 13 febbraio 1983, Torino fu colpita da quella che, probabilmente, è stata la sua più grande tragedia civile (cioè non legata ad eventi bellici) degli ultimi secoli. Un incendio si sviluppò nel cinema Statuto di via Cibrario. A
ll’epoca i materiali e gli arredi delle sale pubbliche non erano ignifughi (la normativa cambiò proprio in seguito a quell’evento), ma le 64 vittime perirono prevalentemente non per le ustioni dovute alle fiamme, ma per soffocamento, in quanto i poveri spettatori non riuscirono a guadagnare l’aria aperta, perché le porte di sicurezza erano state colpevolmente sbarrate. Come purtroppo ancora accadde dopo, in altri luoghi, le porte di sicurezza erano considerate una possibile via di intrusione per spettatori non paganti, invece di essere pensate come libere vie di fuga in caso di emergenza.
Purtroppo non era la prima volta che un incendio feriva la città di Torino, anzi ne possiamo contare parecchi altri. Ad esempio, il 26 aprile 1852, il sergente Paolo Sacchi (al quale è dedicata la via che corre parallela a via Nizza, dall’altro lato della ferrovia), con coraggio evitò che l’incendio della polveriera di Borgo Dora si estendesse ad un ancora più ampio deposito di polvere da sparo, evitando così peggiori danni alla città.
In seguito Sacchi raccontò che agì per ispirazione della Consolata, della quale divenne un profondo devoto, recandosi ogni mattina a servire la Messa nel santuario, fino alla sua morte avvenuta nel 1884. Nel 1904, il 26 gennaio, ci fu il disastroso incendio della Biblioteca Nazionale, allora situata in via Po, accanto a quello che ora è il Rettorato dell’Università. Nella notte tra l’8 e il 9 febbraio 1936, bruciò il Teatro Regio, e si dovette aspettare il 1973 (cinquant’anni fa) per l’inaugurazione del nuovo edificio nella sua forma attuale, che coniuga modernità e tradizione, grazie all’opera dell’architetto torinese Carlo Mollino, che disegnò ardite opere che ancora oggi segnano la città.
Il 18 agosto 1971, per un incidente dovuto all’imperizia di un’impresa edile, in via Roma, prendeva fuoco il più importante negozio torinese della Marus (Magazzino Abbigliamento Ragazzo Uomo Signora), una società del Gruppo Finanziario Tessile, allora eccellenza industriale del Piemonte. Nella memoria di molti, poi, è vivo il rogo della Cappella della Sindone del 21 aprile 1997. Ancora dolente è il ricordo del rogo dello stabilimento della Thyssen Krupp del 6 dicembre 2007, con le sue sette vittime. Infine, speriamo ultimo, ci fu l’incendio dell’ex Hotel Ligure di piazza Carlo Alberto, nel 2021, con cinque intossicati.
A riguardo della tragedia dello Statuto, abbiamo raccolto la testimonianza di un giovane di allora: “In quegli anni facevo parte dei gruppi giovanili di una parrocchia di Mirafiori. Talvolta, la domenica, ci trovavamo davanti alla chiesa per andare al cinema ‘in città’, perché la periferia non aveva molte occasione di svago. Qualcuno arrivava con il foglio degli spettacoli della Stampa e poi, dopo lunghe discussioni, si decideva dove andare, quasi mai nei cinema di prima visione. Quel giorno ci trovammo a scegliere tra La capra, commedia francese un po’ troppo sofisticata per noi periferici, in visione allo Statuto, e Pomi d’ottone e manici di scopa, un classico Disney non proprio recente, ma la cui proiezione non era ancora inflazionata dagli attuali mezzi di comunicazione.
Io fui tra quelli che insistettero per Pomi d’ottone ed infine l’avemmo vinta e ci recammo in una sala parrocchiale di San Salvario dove lo proiettavano. Già attraversare la città, con i residui di una recente nevicata, era per noi, ingenui di allora, un’avventura. Alla fine dello spettacolo, pur in assenza dei veloci mezzi comunicativi di oggi, capimmo che era successo qualcosa di grave. Poi comprendemmo il dramma che era successo al cinema di via Cibrario, possibile altra nostra metà di quel pomeriggio.
Qualche giorno dopo partecipai, dall’esterno, ai funerali della maggior parte delle vittime, celebrati in Duomo. Mi ricordo nitidamente di aver visto Pertini dietro i vetri della sua macchina. Ci partì spontaneo un applauso, ma il suo volto corrucciato e un gesto di stizza della sua mano mi sono ancora oggi impressi, come a spiegarci che non era un momento di festa per un Presidente amato e stimato, ma un momento di dolore, da vivere con raccoglimento. Qualche settimana dopo, visitando un’anziana malata della parrocchia, lei mi ringraziò, perché diceva che ero stato uno dei salvatori della vita della sua giovane nipote (che evidentemente le aveva raccontato della nostra domenica), in quanto ero stato tra coloro che avevano insistito per non andare allo Statuto. Fu solo allora che realizzai che, se le nostre strade avessero preso la direzione di via Cibrario, oggi non sarei qui a raccontarti questa storia”.