Cinque anni fa vinse Chiara Appendino perché i torinesi avevano voglia di novità. Scartarono il candidato con esperienza amministrativa (Piero Fassino) e concentrarono i voti sul volto nuovo di una donna giovane, a capo di un partito giovane. Le affidarono le chiavi della città. Fu un buon affare? Torino è migliorata in questi anni? Ciascuno dovrebbe farsi un’opinione prima di tornare alle urne domenica 3 ottobre e scegliere il Sindaco dei prossimi cinque anni.
Anche questa volta compare fra i candidati un uomo «nuovo», l’imprenditore Paolo Damiliano, portato dal centrodestra. Anche questa volta gli contende la vittoria un politico di lunga esperienza, il professore del Politecnico Stefano Lo Russo, candidato dal centrosinistra. Come ragioneranno i torinesi? Ripeteranno la scommessa sull’uomo nuovo? Oppure torneranno al candidato con esperienza?
Nelle elezioni comunali, più che nel voto politico nazionale, conta la competenza dei candidati. Se dovessimo giudicare dai grandi temi, i programmi si somigliano tutti (quest’anno tutti i candidati promettono a una sola voce di creare posti di lavoro sotto la Mole), cosicché non divergono molto le risposte che abbiamo raccolto nelle ampie interviste che pubblichiamo su questo numero del giornale alle pagine 4, 5 e 6. Anche a proposito dei temi etici, come la difesa della famiglia, la tutela dei diritti individuali o l’accoglienza dei migranti, è molto difficile marcare la differenza fra i candidati, a dispetto degli slogan dei partiti che li sostengono.
L’elettore deve allora interrogarsi sulla personalità dei candidati, sulla loro competenza, e sulla mentalità espressa dai partiti collegati. Serve uno sforzo di immaginazione per cercare di prevedere come si comporterà il futuro Sindaco nella concretezza della sfide che ha davanti. Qui ne indichiamo tre.
La prima sfida non te l’aspetti, perché in campagna elettorale nessuno ne ha fatto cenno, neppure di striscio. Eppure è il nodo fondamentale, quello che dovrebbe togliere il sonno al prossimo Sindaco: governare il Comune con gli uffici semi-vuoti. Nell’ultimo decennio, per far quadrare il bilancio, le Amministrazioni Fassino e Appendino hanno decimato il personale del Comune di Torino: gli impiegati sono scesi da 13 mila a 8 mila, i dirigenti da 150 agli attuali 55. Ecco dunque la sfida: far funzionare i servizi della città con una macchina che sta letteralmente rischiando la paralisi (vedi il caso dell’Anagrafe).
Seconda sfida è la questione – da tutti riconosciuta – del lavoro, ovvero delle fabbriche che chiudono e stanno abbandonando Torino. Fino ad oggi la politica si è dimostrata incapace di frenare l’emorragia. Il futuro Sindaco, per l’esperienza da cui proviene, avrà carte nuove da giocare? Avrà parole diverse da spendere, in particolare, rispetto al colosso Fiat (Stellantis) che un po’ per volta si ritira dalla città? Mirafiori taglia i posti di lavoro, Lingotto vende la palazzina dirigenziale, eppure sabato scorso Chiara Appendino si è fatta fotografare sul tetto della fabbrica per «ringraziare Fiat» dell’apertura di un giardino pubblico al posto della vecchia pista per il collaudo delle auto. Il prossimo Sindaco continuerà ad inchinarsi?
Terza sfida: la drammatica emarginazione delle periferie. Il nostro giornale ne scrive da settimane, ha sempre scritto dell’abbandono dei quartieri popolari, nei quali si concentrano i problemi della disoccupazione e della povertà, del degrado urbanistico, della criminalità e del confronto-scontro con l’immigrazione. Le periferie sono bombe a orologeria ove il disagio (e la rabbia) ribolle senza che la Città sia fino ad oggi riuscita ad intervenire. Quanta attenzione arriverà dal nuovo Sindaco? Quanto impegno specifico, quante risorse le forze politiche spenderanno davvero sul fronte della solidarietà sociale nei quartieri dimenticati e nel soccorso ai poveri, nel sostegno ai disoccupati e ai migranti in cerca di cittadinanza?
Far funzionare la macchina amministrativa, far ripartire il lavoro, far respirare le periferie. Chi vincerà queste sfide si farà amare dalla città.