Trent’anni fa la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia

20 novembre 1989 – L’interesse del bambino va sempre considerato superiore: ogni volta che esso entra in conflitto con interessi di altri deve prevalere. È il cuore della «Convenzione sui diritti dell’infanzia» approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite trent’anni fa

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L’interesse del bambino va sempre considerato superiore: ogni volta che esso entra in conflitto con interessi di altri deve prevalere. È il cuore della «Convenzione sui diritti dell’infanzia» approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, trent’anni fa, il 20 novembre 1989. A 30 anni prima, 20 novembre 1959, risale la «Dichiarazione sui diritti del bambino». Tutti i Paesi hanno ratificato la «Convenzione» a eccezione degli Stati Uniti perché alcuni dei 50 Stati che compongono l’Unione applicano la pena di morte anche sotto i 18 anni. L’Italia ha ratificato la Convenzione con la legge 176 del 27 maggio 1991.

Documento con una lunga gestazione – Nel 1924 con la «Dichiarazione di  Ginevra» l’assemblea della Società delle Nazioni approva un documento in 5 punti che per la prima volta cita i «diritti del bambino». Nel 1948 l’Onu adotta una dichiarazione in 7 punti. Il 20 novembre 1959 l’assemblea Onu promulga la «Dichiarazione dei diritti del fanciullo», tuttora in vigore. L’«Anno del bambino» del 1979 spinge a stendere la «Convenzione», che è adottata senza voti contrari il 20 novembre 1989. Il preambolo ne spiega i motivi; prende in considerazione la «Carta» delle Nazioni Unite (1945) e la «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» (1948); sottolinea la necessità di far crescere i bambini «nell’ambiente familiare sano e sereno»; rivolge particolare attenzione e protezione ai bambini.

I diritti garantiti sono raccolti in un testo onnicomprensivo senza distinzioni né suddivisioni. La «Convenzione» sancisce i diversi tipi di diritti: civili, culturali, economici, politici, sociali e umanitari; prevede la protezione dei bambini contro l’abuso e lo sfruttamento. Il principio di non discriminazione impegna gli Stati ad assicurare i diritti a tutti i minori, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione del bambino e dei genitori. Il superiore interesse del bambino prevede che in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata, prevalga l’interesse superiore del bambino. Il diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo prevede il riconoscimento del diritto alla vita del bambino e l’impegno ad assicurarne la sopravvivenza e lo sviluppo. Il diritto di espressione, partecipazione, ascolto prevede il diritto a essere ascoltati, con il dovere per gli adulti di ascoltare il bambino e di tenerne in considerazione le opinioni. È la «Convenzione» più riconosciuta ma anche più sconosciuta.

La battaglia della Chiesa contro l’aborto e la tratta – Molto nette le posizioni. La prima battaglia è sconfiggere l’indifferenza dell’Onu e degli Stati nell’impegno contro l’aborto: i Papi rimproverano il fatto che questi solenni documenti di fatto non sanciscono il diritto prioritario alla vita dei bambini. In secondo luogo la battaglia contro la tratta, definita da Francesco all’Angelus «una piaga che «riduce in schiavitù molti uomini, donne e bambini con lo scopo dello sfruttamento lavorativo e sessuale, del commercio di organi, dell’accattonaggio e della delinquenza forzata. Le rotte migratorie sono spesso utilizzate da trafficanti e sfruttatori per reclutare nuove vittime della tratta. È responsabilità di tutti denunciare le ingiustizie e contrastare con fermezza questo vergognoso crimine». Ogni anno 800 mila creature nel mondo sono vittime del traffico. Fenomeno contrastato dalle organizzazioni cattoliche e dalle congregazioni religiose femminili. «Le nostre sorelle non hanno paura di uscire dai conventi, anche di notte, per incontrare le donne costrette a prostituirsi sulle strade delle nostre città»: suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata parla a nome delle 250 suore che operano tra i minori e le donne vittime. In Italia vi sono 50-70 mila donne introdotte illegalmente e sfruttate sessualmente e, di queste, il 40 per cento sono minorenni. Le suore sostengono numerose iniziative a favore di queste poverette e dei loro figli: «unità di strada» per incontrare le donne costrette alla prostituzione; collaborazione con i centri di ascolto delle Caritas; comunità di accoglienza dove le donne che vogliono sfuggire ai «padroni-magnaccia» trovano rifugio, accoglienza, sostegno umano e spirituale.

L’atroce tragedia dei bambini soldato interessa – secondo l’Unicef – non meno di 250 mila bambini, usati nei conflitti armati. Il Papa ripete: «Sento forte il dolore per i tanti bambini strappati alle famiglie per essere usati come soldati». Con il moltiplicarsi di guerre, guerriglie e terrorismo il numero di bambini soldato – di 11, 12, 13 anni – sale drammaticamente, specie nell’Africa centrale e sub-sahariana, in America Latina, nel Sud-Est asiatico, Filippine, Sri Lanka e al confine tra India e Pakistan. I bambini vengono combattono in 33 guerre come messaggeri, spie, facchini, cuochi e le ragazze come sguattere e schiave sessuali. «Terres des hommes» denuncia: «Questi bambini e bambine sono usati come veri e propri soldati, vengono lanciati in battaglia e le armi più comuni, come l’AK47 (kalashnikov), sono state rimaneggiate per essere usate anche da bambini di 12, 13, 14 anni. Poi sono destinati alla logistica: il bambino è veloce, lo si vede meno di un adulto, può trasportare armi e messaggi da una parte all’altra del confine e nelle retrovie. Le bambine fanno i lavori più umili e sono schiave-prostitute».

I bambini con meno di 3 anni in carcere – Le affermazioni degli adulti sui bambini sono sempre assolute, senza riserve, radicali. Poiché quasi tutti i Paesi aderiscono alla «Convenzione», l’interesse dei bambini dovrebbe prevalere. In realtà, sono promesse tradite e sconosciute. Bambini di meno di 3 anni vivono in carcere con le mamme. Se fosse rispettato l’articolo 3, l’esigenza primaria del bambino imporrebbe che madre e figlio vivessero in casa, in ragione della dignità del bambino. Lo Stato deve trovare altre forme per proteggersi dalla pericolosità sociale delle madri.

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