Trent’anni fa la grande fuga dall’Albania

Agosto 1991 – Trent’anni fa l’Italia scoprì di essere la «terra promessa» di migliaia di albanesi. Il 7 agosto 1991 la nave mercantile «Vlora», di ritorno da Cuba carica di zucchero di canna, nel porto di Durazzo in Albania è assalita da migliaia di persone che costringono il comandante a salpare per l’Italia e ad attraccare a Bari l’8 agosto

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Il 7 agosto 1991 la nave mercantile «Vlora», di ritorno da Cuba carica di zucchero di canna, nel porto di Durazzo in Albania è assalita da migliaia di persone che costringono il comandante a salpare per l’Italia e ad attraccare a Bari l’8 agosto. Il comandante forza il blocco navale dicendo di avere feriti gravi a bordo. Fanno attraccare la nave al Molo Carboni, il più distante. Molti si gettano in mare e raggiungono a nuoto la banchina cercando di scappare.

Trent’anni fa l’Italia scoprì di essere la «terra promessa» di migliaia di albanesi. Cinque mesi prima, il 7 marzo 1991, nel porto di Brindisi arrivarono 23-27 mila giovani su navi mercantili, bagnarole e carrette. Fuggivano da una crisi economica spaventosa e dalla dittatura asfissiante del comunista-maoista Enver Hoxha, durata 41 durissimi anni. Credevano che l’Italia fosse il paese di Bengodi, infinocchiati dalla televisione italiana. Era il sogno di chi aveva visto clandestinamente (era proibitissimo) troppe puntate di «Quelli della notte», «Drive-in», «TeleMike» e si era illuso che l’Italia fosse il Paese della cuccagna dove fare soldi a palate. Un esodo biblico: 18 mila, poi 20 mila, infine 27 mila. Brindisi, Bari e l’Italia, l’Europa e noi tutti eravamo impreparati a un’emergenza umanitaria colossale.

Il 9 novembre 1989, con il crollo del Muro di Berlino, è considerato una delle 50 date più importanti della storia. In Albania la frana comincia nel dicembre 1990 con le manifestazioni studentesche. Le elezioni del marzo 1991 lasciano i comunisti al potere, ma le proteste, i disordini, la crisi economica e le elezioni del marzo 1992 li cacciano. Il 6 marzo pomeriggio 1991 a Brindisi attraccano due navi mercantili con 6.500 disperati. Nella notte e la mattina dopo un fiume inarrestabile. Il governo (Andreotti VI) ordina di fermarli, ma è impossibile. Alle 10 la fiumana comincia a scendere: stremati, affamati e assetati. Donne e bambini, uomini e anziani in condizioni disperate. Parecchi parlano un italiano biascicato. I brindisini e i pugliesi reagiscono con grande umanità e generosità. Fanno miracoli. Distribuiscono cibo e bevande, vestiti e medicine.

L’evento mise a durissima prova le istituzioni, le forze dell’ordine, il volontariato e lo Stato. Case e scuole, parrocchie e fattorie, fabbriche e centri sociali, stadi e piazze accolsero alla meno peggio migliaia di disperati. L’Italia e l’Europa erano impreparati a un flusso così travolgente. Moltissimi minori si erano imbarcati senza i genitori e aspettavano di ricongiungersi. Raggiunsero la Sicilia e la Basilicata, sciamarono in tutta la Penisola e nell’Europa unita, allora composta da 12 Paesi. Gli sbarchi continuarono e l’8 agosto attraccò a Bari il mercantile «Vlora» con ben 20 mila clandestini a bordo. La nave fu respinta da Brindisi – 80 mila abitanti – e dirottata verso Monopoli: agganciata dai rimorchiatori fu ormeggiata nel porto di Bari e quei disperati furono portati nello stadio della Vittoria.

Scrive Gian Antonio Stella sul «Corriere della Sera»: «Il sogno di tanti ragazzi era liberarsi dei vestiti laceri e delle scarpe sfondate, trovare qualcuno che gli desse una mano, fare fortuna, comprarsi una bella macchina da mostrare un giorno al ritorno nel Paese delle Aquile. Per l’Italia fu una svolta: il passaggio da Paese di emigrazione a Paese di forte immigrazione. A gennaio i primissimi articoli da Tirana avevano mostrato un’Albania stremata. Un paio di scarpe costavano una settimana di lavoro, un abito un mese (70 mila lire italiane), un televisore sei mesi. Era stato aperto un solo ristorante privato». L’Italia, per gli albanesi, fu una scelta naturale. È molto vicina via mare; aveva un Pil pro capite di 21.956 dollari americani contro i 336 degli albanesi. Dal secolo XV, cioè dalla conquista turca dell’Albania, il Meridione d’Italia ospita una forte comunità di albanesi («arbëreshë») rifugiati che si integrarono molto bene. Di origine albanese è il siciliano Francesco Crispi, che fu tra gli organizzatori dell’impresa dei Mille e poi presidente del Consiglio. Di ceppo albanese di parte di padre è Antonio Gramsci, fondatore e capo del Partito comunista d’Italia imprigionato dal fascismo.

«I nuovi arrivati, piombati in massa e in quel modo nel nostro Paese, furono per larga parte degli italiani uno shock», aggiunge Stella. «Non parevano venire da poche miglia nautiche, ma da un’Italia miserabile del secolo prima», quella descritta da Stefano Jacini nell’«Inchiesta parlamentare sulla miseria»: «Nelle valli delle Alpi e degli Appennini, e anche nelle pianure, specialmente dell’Italia meridionale, e perfino in alcune province fra le meglio coltivate dell’Alta Italia, sorgono tuguri ove in un’unica camera affumicata e priva di aria e di luce vivono insieme uomini, capre, maiali e pollame. E tali catapecchie si contano forse a centinaia di migliaia».

I rapporti degli italiani con gli immigrati non fu dei più facili. Ancora Stella: «Un rapporto inasprito anche dagli errori imperdonabili di tanti immigrati che, miserabili, anarcoidi e inselvatichiti da una dittatura isolata dal mondo parevano spesso riottosi al rispetto delle norme più elementari. Fino a tirarsi addosso campagne d’odio culminate in uno slogan del leghista Marco Formentini alle Comunali del 1997: “Un voto in più a Formentini, un albanese in meno a Milano”. Per qualche anno toccarono ai figli del Paese delle Aquile tutti gli insulti, le maledizioni e le accuse più infamanti che un secolo prima erano stati lanciati dagli xenofobi svizzeri, britannici, francesi, americani, australiani contro i nostri nonni che avevano fatto fatica a inserirsi nei Paesi in cui erano emigrati». Il 25 aprile 1993 a Tirana Giovanni Paolo II esorta: «Popolo albanese, vai avanti coraggiosamente. Questo è un percorso difficile, ma i semi della speranza sono stati piantati. Possa la forza dei tuoi martiri accompagnarti, testimoni sempre alla guardia della libertà negli anni infiniti di oppressione del regime totalitario. Che i tuoi passi siano illuminati dal tuo amore per la famiglia, il tuo spirito di fratellanza, la tua ospitalità».

Pier Giuseppe Accornero

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