Tutte le visite di Napoleone a Torino e in Piemonte

Bicentenario – L’imperatore, morto 200 anni fa (5 maggio 1821), passò numerose volte per Torino e il Piemonte, come documentano gli storici

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Lo storico Francesco Cognasso scrive: «I torinesi devono gratitudine a Napoleone Bonaparte per aver salvato Palazzo Madama dal piccone demolitore» e anche il Duomo e la Cappella della Sindone. L’imperatore, morto 200 anni fa (1821-5 maggio-2021), passa numerose volte per Torino e il Piemonte, come documentano i libri: Mauro Minola, «Napoleone in Piemonte», Il Punto-Piemonte in bancarella, Torino, 2014; Alessandro Puato, «Napoleone a Torino. Le visite del 1797, 1800, 1805 e 1807», Mediares, Torino, 2015.

Sei visite a Torino e Piemonte in dieci anni – 1797 – Lascia l’Italia per il congresso di Rastadt in Germania. Parte da Milano e il governo sabaudo ordina che la guarnigione di Novara si schieri in armi per rendergli omaggio: vi giunge alle sette e mezza di sera e, mentre attende il cambio dei cavalli, è ossequiato dai maggiorenti. Scortato da trenta dragoni, riparte per Torino e arriva alle due e mezza di notte: alberga presso l’ambasciatore di Francia all’Hotel d’Angleterre in via Santa Teresa.

1800 – I francesi, dopo la vittoria di Marengo (14 giugno 1800), occupano Torino. Nella notte 26-27 giugno il primo console Bonaparte, da Vercelli arriva a Torino e va alla Cittadella (oggi sede del Museo nazionale d’Artiglieria) per alcune ore: riceve una deputazione della Municipalità e un’altra di patrioti. Offre a Carlo Emanuele IV il ritorno nei suoi domini purché rinunci a Nizza e Savoia ma il re sabaudo rifiuta.

Aprile 1805 – L’imperatore Napoleone, nel viaggio per andare a incoronarsi re d’Italia a Milano con la corona ferrea dei Longobardi, passa per Torino e si ferma vari giorni (18-29 aprile) nella Palazzina di caccia di Stupinigi. Compie numerose visite: Cascina la Generala (oggi carcere Ferrante Aporti), Castello di Moncalieri, Villa Roasio a Moncalieri, Basilica di Superga, Vigna Bossola (oggi Villa Veglia), Torre Bert, Vigna di Madama reale, Università, Palazzo Madama, Cittadella, Arsenale, Liceo (non esiste più) vicino al Teatro Regio, Palazzo Reale, Palazzo di Città, Venaria Reale.

Luglio 1805 – Basse di Stura, Palazzo Reale, Duomo dove sente la Messa cantata domenica 7 luglio, Teatro Regio, Porta di Moncenisio.

Novembre 1807 – Palazzo Reale.

Dicembre 1807 – Casa di campagna «Rubatto fuor Porta di Po», Palazzo Reale, Teatro Regio, Cittadella, Arsenale.

I vescovi napoleonici, nominati baroni dell’Impero, sono dei «prefetti in viola» e giurano fedeltà all’imperatore. Le lettere pastorali e le pubblicazioni religiose devono essere approvate dal governo con la censura preventiva. Il «Catechismo imperiale», strumento di propaganda e di adulazione bonapartista, non insegna le verità di Cristo ma instilla nel popolo amore, rispetto e fedeltà all’imperatore; inculca l’obbligo del servizio militare; impone di pagare le tasse all’usurpatore.

Carlo Luigi Buronzo del Signore vescovo ad Acqui, Novara, Torino – Nato a Vercelli il 22 ottobre 1731, laureato in «Utroque iure» a Torino, prete dal 1754, canonico della Cattedrale, di idee liberali, viaggia in Francia e Svizzera e a Ginevra incontra Voltaire (François-Marie Arouet) e ne resta affascinato. Vicario generale del vescovo di Vercelli, il cardinale torinese Carlo Giuseppe Filippa della Martiniana, Buronzo diventa vescovo di Acqui (1784-91) e poi di Novara (1791-97). Difensore delle posizioni conservatrici, alla morte del cardinale Vittorio Gaetano Costa d’Arignano, diventa arcivescovo di Torino (1797-05). In una lettera pastorale inneggia alla Francia «grande nazione trionfatrice. Usate della libertà acquistata e non permettete che essa declini in licenza. La vera libertà è madre delle virtù religiose e sociali, la licenza è madre dei vizi». Nella lettera pastorale del 31 luglio 1799 parla del catechismo, esalta quello di San Carlo Borromeo, raccomanda di istituire in tutte le parrocchie la «Compagnia della dottrina cristiana». A disagio per i continui e repentini cambiamenti, uomo pio, di indole mite quasi pavido, affezionato ai Savoia da cui è colmato di benefici, ondeggia continuamente per mantenersi in equilibrio. Quando i francesi tornano al potere, nel timore di rappresaglie, fugge a Roma e a Napoli. Carlo Emanuele IV nel 1801 lo nomina elemosiniere di corte. Lui si abbandona alle solite esagerazioni in onore di Napoleone.

Il brutale scontro alla Palazzina di caccia di Stupinigi – Il 22 aprile 1805, arcivescovo e clero torinese sono ricevuti, e trattati malissimo, a Stupinigi da Napoleone: nel burrascoso colloquio lo accusa di «essere partigiano» dei Savoia, gli rinfaccia la devozione al re sabaudo e lo rimbrotta per non aver prestato giuramento di fedeltà. Buronzo risponde: «Non può essere delitto il mio antico affetto ai re di Sardegna, che mi hanno colmato di benefizi e l’ingratitudine non fu mai una virtù; però come sono stato buon suddito di chi regnava, così ora mi fo preciso dovere di riconoscere e onorare Vostra Maestà imperiale e prestarle giuramento». Si sente rispondere sdegnosamente: «No, mi prestereste un giuramento di restrizione mentale e se i miei nemici si avvicinassero al Piemonte, andreste a raggiungerli contro di me». Gli promette una pensione se dà le dimissioni. Poi, sdegnato, gli volta le spalle. Accusa i preti di tenere il piede in due staffe: «Signori parroci, voi avete il cuore del popolo nelle vostre mani, dipende da voi farmi amare, giacché la mia spada è sufficiente per farmi temere».

Adulatori di Napoleone i vescovi del Piemonte – La condotta dell’imperatore verso l’arcivescovo, particolarmente davanti al clero, è riprovevole. Molto più di Buronzo, adulatore di Napoleone è Giovanni Battista Canaveri, vescovo di Biella. Divenuto vescovo di Vercelli, è nominato grande elemosiniere della madre dell’imperatore con un appannaggio di 15 mila franchi. Mons. Carlo Vittorio Ferrero della Marmora, vescovo di Saluzzo, va a Stupinigi a prestare giuramento e trova «un’accoglienza graziosissima». Gian Crisostomo Villaret, vescovo di Amiens, poi di Casale Monferrato e di Alessandria, nominato dall’imperatore commissario per gli affari ecclesiastici in Piemonte: agognando l’arcivescovado di Torino, ordina di dire nelle preghiere «Dominus salvum fax imperatorem nostrum Napoleonem». Anche gli altri vescovi subalpini inneggiano all’imperatore che li invita farsi mediatori non solo fra Dio e l’uomo ma anche fra uomo e uomo: «L’amore della religione che non la perfeziona, non è di alcuna utilità». Promette loro uno stipendio dallo Stato perché «desidero con tutto il cuore che colui che serve l’altare, viva dell’altare».

La sostituzione di Buronzo, per ordine dell’imperatore, è decisa da Pio VII, tenuto prigioniero a Parigi, che gli ricorda i propri sacrifici per il bene della Chiesa: «Exemplum dedi vobis». Buronzo rinunzia a Torino il 24 giugno 1805 e si ritira a Vercelli dove muore di crepacuore il 23 ottobre 1806. Napoleone cerca di amicarsi l’alto clero e concede vantaggi morali e materiali. In Piemonte ostenta grande religiosità e a Stupinigi assiste quotidianamente alla Messa nella chiesa interna, celebrata dal canonico Pietro Bemardino Marentini, cappellano delle imperiali cappelle con stipendio annuo di 6 mila franchi e alloggio. Ordina al ministro dei Culti di donare a suo nome un anello ai vescovi, escluso Buronzo. Il pomeriggio del 24 aprile 1805 alle due e mezza una salva d’artiglieria annuncia la partenza in carrozza di Napoleone e Giuseppina da Stupinigi: li scorta uno squadrone composto da 40 guardie d’onore torinesi, due centinaia di ussari francesi e 20 gendarmi scelti. Alle quattro entra in Torino: una folla immensa lo accoglie a Porta Nuova presso l’Arco di trionfo, che esalta lo sviluppo economico e i progressi della scienza e delle arti. Il 14 maggio sulla cattedra di San Massimo succede Giacinto della Torre, vescovo di Acqui, che si è distinto per l’ammirazione ai francesi e al loro capo

Uomo di cultura e scaltro politico, della Torre definisce l’imperatore «istromento della Provvidenza, un eroe guidato dal cielo». Esempio di totale sottomissione, Giacinto Vincenzo della Torre dei conti di Luserna nasce a Saluzzo il 15 marzo 1747, entra nel convento torinese dell’Ordo Eremitarum Sancti Augustini (Agostiniani scalzi); studia Teologia a Roma e a Bologna, sacerdote dal 1770. Arcivescovo di Sassari (1790-97) favorisce la costruzione di nuove strade, appoggia le riforme agricole e il buon governo sabaudo. Con il titolo di arcivescovo, dal 14 giugno 1797 guida la diocesi di Acqui, un episcopato irto di difficoltà. Si barcamena tra preti «conservatori», «democratici» e «giacobini»; tra «regalisti e «repubblicani». In una lettera pastorale (22 dicembre 1798) «il cittadino arcivescovo Giacinto della Torre» raccomanda «obbedienza alle autorità come primo dovere del cristiano. La vera democrazia richiede l’esercizio di quelle virtù che si imparano solo alla scuola di Gesù Cristo». Riduce i giorni festivi ma poi ci ripensa. Unico sprazzo è la critica alla legge sul matrimonio civile.

Della Torre favorisce il progetto bonapartista di fare del clero uno strumento del potere civile; sposa le nuove idee; pianta alberi della libertà anche in Seminario. Il 12 marzo 1803, nel «Te Deum» di ringraziamento per lo scampato attentato, inneggia all’«invitto, magnanimo, incomparabile Bonaparte, il nuovo Alessandro al cospetto del quale tacque di fatto e ammutolì la terra». Nel luglio 1804 celebra «con sacra pompa il faustissimo avvento di Napoleone al trono imperiale»; lo definisce «giudice incorruttibile, vincitore generoso, padre indulgente, ristoratore delle religioni e pacificatore dei continenti». L’adulazione gli frutta la nomina ad arcivescovo di Torino (1805-14). Chiosa lo storico Giuseppe Tuninetti: «Aveva fornito indubbie prove di fedeltà. Apparteneva a quella schiera di vescovi che accettavano di essere trattati come ausiliari spirituali della sua politica, che mirava non a distruggere la Chiesa ma a servirsene. Si adattò realisticamente al non esaltante ruolo di fedele – e servile, oltre i limiti della decenza e della dignità, soprattutto nei panegirici nella festa di san Napoleone – esecutore della politica ecclesiastica francese pensando di ottenerne in cambio vantaggi». Ottiene la riapertura del Seminario e l’esenzione dei chierici dal servizio militare; evita la chiusura e la demolizione di numerose chiese; spinge Pio Brunone Lanteri e Luigi Guala a rilanciare il santuario Sant’Ignazio di Pessinetto. «Stuoino» di Bonaparte, prescrive l’adozione del «Catechismo imperiale». Il 2 aprile 1810 interviene a Parigi alle nozze di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, dopo la dichiarazione di nullità del matrimonio con Josephine de Beauharnais, per suggellare la pace di Vienna tra Francia e Austria; partecipa come segretario al concilio nazionale di Parigi (giugno 1811) e con pochi altri dei 140 vescovi chiede la liberazione di Pio VII. Muore a Torino l’8 aprile 1814.

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