Duecento e trenta notti al riparo, 90 mila tra colazioni, pranzi e cene servite, 130 giorni di permanenza «h 24» nel tempo del Covid, 20 operatori stabili e altrettanti volontari, 7 parrocchie a sostegno per il soggiorno diurno, 3 imprese per pulizia e sanificazione, 7 sedi per 110 posti letto contemporaneamente.
Questi alcuni dei numeri che descrivono l’impegno profuso dalla rete Caritas di Torino, da metà novembre a tutto giugno, per circa 150 persone senza dimora, molti uomini e qualche donna, italiani e stranieri in perfetto equilibrio. La rete ecclesiale di accoglienza straordinaria, coordinata da Caritas, supportata dalla cooperativa Cts e dal Sermig, sostenuta dal sempre prezioso intervento della Compagnia di San Paolo e coordinata con la Città, ha risposto al bisogno di «ascolto, accoglienza, accompagnamento» che si era fatto più importante con il sopraggiungere del freddo invernale. La comparsa della pandemia ha richiesto uno sforzo ulteriore di protezione sanitaria, di ampliamento del tempo giornaliero di accoglienza e delle settimane disponibili che ha, però, consentito di non dare vita a focolai di infezione.
Il 30 giugno sarà l’ultimo giorno di permanenza in via Arcivescovado 12C, in via Cappel Verde 6 al piano strada e al primo, nella parrocchia della Gran Madre e al piano terra di Villa Pellizzari. Continuerà solo l’accoglienza per persone con problemi legati alle dipendenze nella sede al confine con San Mauro e quella per il gruppo di donne che dai locali Rsa Carlo Alberto si trasferiranno, come l’anno scorso, in Arcivescovado. Degli attuali ospiti qualcuno entrerà nella rete ordinaria degli enti di privato sociale, mentre qualcun altro torna a pieno carico della Città e dei suoi servizi.
L’impegno di questo che era il terzo anno di accordo con la Città è stato decisamente il più oneroso, tanto da averci portati al limite massimo delle nostre capacità: oltre non si può. Ma è anche stato una occasione preziosa per andare al di là del semplice servizio di accoglienza e puntare molto di più sulla qualità della relazione con le persone impaurite dallo spettro del virus, per non farle sentire abbandonate e dimenticate come è invece – purtroppo – capitato per altre che non hanno trovato altrove uguale attenzione.
La Chiesa di Torino non si è tirata indietro, affiancando questa rete temporanea a decine di attività di sostegno per le persone in grave emarginazione condotte giorno dopo giorno da parrocchie, associazioni, gruppi e persone singole che quasi mai guadagnano l’articolo sui giornali. Il suo impegno non vuole essere sostitutivo dell’obbligo costituzionale affidato alle Istituzioni, né tantomeno concorrenziale perché basato sull’assioma secondo cui il nostro sarebbe un metodo più efficace. Ci siamo messi sulla strada insieme alle persone e a chi ha compiti o vocazioni di prossimità per provare a costruire un pezzo di società più giusta, più rispettosa, più garante dei diritti delle persone, più umana. Esperienza significativa che, certo, ha bisogno di essere ulteriormente migliorata.
Il Covid ha messo in luce tratti di estrema generosità ma anche le buche presenti sulla strada del lavorare insieme che vanno riempite per poter continuare bene il cammino. Entriamo adesso nel tempo necessario del discernimento sul futuro il cui obiettivo non è l’efficienza del sistema ma l’efficacia della testimonianza. Il ricordo dei quarant’anni di Caritas Torino e l’avvicinarsi del cinquantesimo della presenza di Caritas in Italia (2021) ci chiedono rinnovata fedeltà al mandato originario, alla funzione prevalentemente pedagogica che opera nel concreto ma sapendo che non deve venire dato per carità ciò che è dovuto per giustizia.