Torino, ultimi tentativi per riconquistare le Olimpiadi

La Città litiga troppo – La candidatura per i Giochi Olimpici invernali del 2026 sta evidenziato fratture nella squadra del Sindaco Appendino, il Coni valuterà le alternative di Milano e Cortina d’Ampezzo, dagli imprenditori l’estremo appello

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La candidatura di Torino alle Olimpiadi invernali del 2026 è diventata ormai una sciarada, un gioco enigmistico in cui protagonisti, vecchi e nuovi, s’industriano per individuare la parola chiave che lo risolva, per facilitare il giudizio inappellabile del Coni previsto alla prima riunione della Giunta nazionale. Di qui la moltiplicazione degli appelli degli esponenti politici torinesi e non, le esortazioni di chi da politico, come il presidente regionale Sergio Chiamparino, chiede che la politica resti fuori dai giochi, vale a dire un ossimoro, se si comincia a sfogliare i flash di agenzia che riportano gli accorati interventi di tutti i parlamentari piemontesi e, per contro, di quelli lombardi a veneti a sostegno delle altre due candidate Milano e Cortina d’Ampezzo.

Non a caso la lettera inviata ad inizio settimana da 14 associazioni torinesi, tra cui spiccano le firme di tutti i numeri uno della Torino operosa, grande sponsor della candidatura, dal presidente dell’Unione industriale di Torino Dario Gallina a quello della Camera di Commercio Vincenzo Ilotte, dell’Associazione commercianti (Ascom) Luisa Coppa, della Confesercenti Giancarlo Banchieri, ha avuto come destinatari il premier Giuseppe Conte e l’inquilino del Foro Italico a Roma, il presidente del Coni Giovanni Malagò. Scrivono le forze economiche: «Le Olimpiadi invernali 2026 costituiscono una grande occasione sia in termini economici sia di visibilità per l’area torinese: un territorio ricco di opportunità, ma che necessita di un forte impulso per un definitivo rilancio, dopo gli anni di pesante crisi». Una lettera appropriata, forse persino imbucata in ritardo nel tentativo estremo di costruire una linea politica, nella sostanza assente e, soltanto pregna di sterili polemiche all’interno della maggioranza di palazzo Civico. Il contrario di quanto era emerso di prepotenza per la candidatura del 2006 a livello istituzionale, con un patto di ferro siglato da una stretta di mano tra gli allora sindaco di Torino Valentino Castellani (centro sinistra) e presidente della Regione Enzo Ghigo (centro destra). Fu un’operazione congiunta nell’interesse dei territori, per quanto la parola, non lo si può nascondere, manifestò una malcelata tendenza all’abuso nell’allocazione delle risorse per la bulimia dei sindaci dei piccoli Comuni.

E fu un’operazione di supplenza istituzionale portata avanti con determinazione per colmare il disinteresse o quasi del governo centrale, che soltanto nelle battute finali dello storico testa a testa tra Torino e l’elvetica Sion, riemerse dal suo cinico e studiato distacco per Olimpiadi del 2006.

La rilettura critica di quegli eventi passati spiega, se vogliamo, che cosa non ha funzionato nella gestione tout court delle candidature italiane, a prescindere da quella di Torino, nata comunque «settimina» per la riluttanza dell’amministrazione Appendino a dare immediata trasparenza al dossier e alle spinte comprensibili di chi paventa o teme il declino sociale ed economico della città. L’esperienza del 2006, infatti, avrebbe dovuto consigliare d’incalzare il Governo per un suo maggiore coinvolgimento non soltanto per la candidatura, ma per portare all’attenzione pubblica un «progetto Italia», magari innovativo, all’interno del quale le candidature non fossero in diretta concorrenza tra di loro, ma unite da una visione comune nell’interesse del Paese. Ma la politica, sia nazionale (presa da altre incombenze), che non ha latitato. Ciò avrebbe reso meno pasticciata e credibile la suggestione di Giochi Olimpici Invernali in tandem (Torino-Milano) e meno laceranti le sdegnate reazioni della sindaca Appendino e dello stesso presidente Chiamparino che oggi rivendicano un primato su Milano, «perché Torino meglio riflette i criteri che ha sempre dato il Cio, il Comitato Olimpico Internazionale».

Un giudizio viziato però dall’interesse diretto e destinato oggi ad essere derubricato come una considerazione di parte, utile soltanto alla grancassa mediatica. Ciò non significa che per la commissione istituita da Malagò per valutare gli studi di fattibilità presentati dalle tre città candidate (soluzione ineludibile, escogitata dal presidente del Coni per sottrarsi ad una sovraesposizione personale, almeno formale) avrà meno appeal la proposta di «un’ Olimpiade green e all’insegna di una comprovata esperienza, in grado di valorizzare l’esistente, con significativi risparmi e un ridotto impatto ambientale», come suggeriscono nella loro lettera le associazioni torinesi. Ma è difficile immaginare che negli altri dossier non si dia spazio ad argomentazioni simili o altrettanto convincenti nel rispetto delle caratteristiche morfologiche del territorio e del ritorno economico. Esemplificativa la dichiarazione del presidente della Regione Veneto Zaia che nell’augurare un proficuo lavoro ai membri della commissione del Coni, garantisce che l’istituzione «è a completa disposizione» insieme a coloro che hanno elaborato il dossier «condiviso con tutta la comunità, con le forze sociali ed economiche, e che ha quindi il sostegno di tutto il territorio»’.

Con queste premesse, è abbastanza evidente che la politica, quella alta, che ha una visione d’insieme del Paese, non può e non deve rimanere alla finestra. Anzi. Sarebbe una contraddizione il contrario. E per Torino diventerebbe esiziale perdere il treno olimpico, se lo si considera un’opportunità per ridare impulso al definitivo rilancio di un territorio reso scheletrico da anni di crisi, da uno stillicidio di licenziamenti per chiusure aziendali, da un tasso di disoccupazione giovanile che ha toccato i massimi storici, come ricordano le associazioni di categoria, e in ultimo dall’abbandono della grande industria, sostanziato dall’immobilismo di Fca per il destino di Mirafiori e dintorni diventato oramai  congenito.

Di conseguenza la scelta dovrà coniugare esigenze sportive ai bisogni della collettività. E quelli torinesi a parità di offerta sportiva sono stringenti e pretendono l’intervento forte della politica e non un neutralismo di facciata, che alla fine premia invariabilmente i più ricchi. E non c’è dubbio che Milano e Cortina d’Ampezzo lo siano più di Torino.

Ma, a questo punto una domanda è obbligatoria:  la comunità è coesa sulla candidatura? O il contraddittorio emerso tra i grillini, cui la sindaca Appendino ha dato solo risposte quando costretta, ha reso instabile e sdrucciolevole il terreno politico sui cui interagire e mediare? La domanda è doppiamente d’obbligo anche alla luce delle tredici linee guida attraverso le quali la commissione del Coni dovrà valutare le candidature, laddove si legge come inderogabili: al punto 4, «l’acquisizione della delibera piena e incondizionata del Consiglio comunale delle città»; al punto 5 «l’acquisizione del supporto politico da parte delle Regioni e/o Province autonome coinvolte»; al punto 8 (di grande interesse ndr) «considerazioni sull’eredità dei Giochi verso la città, le future generazioni, il Paese e il movimento Olimpico»; al punto 10 (strategico ndr) «sistemi di mobilità sostenibili e compatibili col progetto».

Sulla coesione è emblematico quanto ha scritto su facebook (e merita attenzione) il consigliere comunale pentastellato Damiano Carretto, uno dei più critici verso la nuova candidatura olimpica della città: «Credo che, anche da parte del M5S, dovrebbe emergere una capacità di analisi complessiva che vada oltre gli interessi localistici e che sappia cogliere gli effettivi bisogni della nazione che, a mio parere, non sono rappresentati in questo momento dai Giochi Olimpici. […] A Torino si è scatenato un gran bailamme per cercare di influenzare la decisione del Coni» prima di tutto, sostiene, perché «il Sistema ha paura che i Giochi non arrivino togliendo, a chi ha mangiato e sprecato ricavandoci guadagni e carriere sui Giochi del 2006, la possibilità di replicare il banchetto».

Parole inequivocabili su cui soltanto chi amministra Torino, per evitare retropensieri e alimentare complottismi, si deve esprimere in maniera altrettanto inequivocabile.

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