Torino non è solo la città più inquinata d’Italia, ma anche la più indebitata. Salvare il Comune di Torino dalla bancarotta è la missione ufficiale che ha portato in città il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi nel pomeriggio di martedì 5 aprile. Palazzo municipale, il Sermig e poi Nuvola Lavazza, le tappe della visita. Luoghi vicini solo geograficamente alle reali periferie di cui tanto si è parlato. Draghi e il sindaco Stefano Lo Russo hanno firmato il «Patto per Torino»: il Governo stanzierà un miliardo e 120 milioni di euro nei prossimi 20 anni per evitare il dissesto del capoluogo. Torino e Napoli sono le prime due città destinatarie di questo «aiuto di Stato» a cui si aggiungono, per il capoluogo piemontese, altre risorse per oltre 2 miliardi e mezzo nell’ambito del Pnrr.
Il pomeriggio di Draghi a Torino è stato breve, ma ha toccato molti temi, dalla guerra fino all’integrazione dei migranti, ma soprattutto la ripartenza pubblica e di industria e imprese. Ad accogliere Draghi anche le proteste: i taxi, i contrari al Green pass, i No Tav, fino a movimenti sindacali, politici, studenteschi e pacifisti che da piazza Castello alle scalinate dell’università hanno puntato il dito contro «i soldi per gli eserciti e le fabbriche di armi» e hanno citato l’Olimpiade 2006 come una delle origini dell’indebitamento.
Ingresso trionfale invece in Sala Rossa per l’ex banchiere accolto da apprezzamenti, attestati di fiducia e dai grazie, quasi eccessivi come sottolineato dallo stesso Draghi che ha esordito dicendo: «Non è ancora l’ora di meritare i complimenti». Un discorso breve ma intenso, pronunciato di fronte all’arcivescovo Nosiglia, al presidente della Regione Alberto Cirio, al Consiglio comunale e alle altre autorità presenti, comprese le fondazioni bancarie. L’atteso ospite è stato anticipato dai saluti di casa e dall’intervento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli che ha descritto Torino come la città italiana con «il più elevato livello di indebitamento, 3800 euro pro capite». In questo scenario a tinte fosche si inserisce il sostegno statale firmato in quest’occasione storica per Torino, che impegna la Città a rispondere attivamente agli aiuti, individuando risorse proprie. Torino non si limiterà a rispettare la Legge – per ogni euro messo da Torino, Roma ne mette 4 – ma si vuole superare stanziando, o meglio recuperando, «664 milioni, a fronte della soglia minima prevista dalla Legge di bilancio di circa 280». Come? Aumento dell’Irpef e riscossione dei crediti.
Bollettino di guerra. Prima di trattare l’argomento del giorno, Mario Draghi ha voluto parlare della guerra in Ucraina. «La guerra non ha senso» ha detto riferendo dell’espulsione di trenta diplomatici russi dall’Italia (a cui il Cremlino ha dichiarato di voler rispondere con la stessa mossa), delle sanzioni e della telefonata a Putin al quale ha chiesto di cessare il conflitto. Un appello che stride con il mercato delle armi che vede anche l’Italia protagonista. Oltre agli affari bellici degli ultimi vent’anni che, secondo Osservatorio diritti e altre fonti, hanno coinvolto il nostro Paese nell’export più con la Russia che con l’Ucraina anche in barba ai divieti europei, pochi giorni fa la Camera dei Deputati ha votato l’aumento delle spese della Difesa al 2% del Pil.
Il Patto. «Il patto che firmiamo oggi vale 1,1 miliardi di euro circa, un impegno che il Comune prende di fronte ai cittadini – ha dichiarato Draghi –. Il Governo vuole accompagnare i cambiamenti nati in città, a differenza del passato vuol dare una risposta alle esigenze dei cittadini«. In un intervento di pochi minuti, Draghi è riuscito a citare Mario Soldati, Olivetti, rivolgendosi direttamente ai torinesi, e ad elencare tutti gli interventi a sostegno della Città, e non solo, che il Governo si è impegnato a stanziare oltre al «Patto» di cui è arrivata già una prima parte (circa 70 milioni). Saranno 1,8 miliardi di euro per la metropolitana, 500 milioni da Pnrr e fondo complementare, 44 per le case popolari e riqualificazione edifici esistenti, 113 per la riqualificazione urbana (verde, ciclabili…), 120 per l’area metropolitana e 43 per le “scuole innovative”. Per il fiume Po il Pnrr prevede 360 milioni di cui 145 andranno al Piemonte per tutelare le risorse idriche e la biodiversità. Per l’automotive, «una delle filiere più complesse in assoluto, sono in arrivo a livello nazionale oltre 8,7 miliardi fino al 2030 a sostegno delle aziende nella transizione ecologica per aumentare sia domanda sia offerta, incentivando le competenze».
E la Regione? Cirio non ha perso l’occasione per alzare la mano, fuori da Palazzo Civico, e chiedere al Governo attenzione e risorse per tutto il Piemonte, oltre a quanto annunciato e fatto fin’ora. Tra i punti più importanti del Dossier Piemonte affidato a Draghi: automotive, aerospazio, idrogeno e intelligenza artificiale ma anche Sanità, Alta velocità e sostegno alle imprese.
Le reazioni. «Bisogna ricucire il rapporto tra Città e cittadini, prima che il mugugno diventi violenza». Suonano più come sirene di allarme che come campane le parole di don Angelo Zucchi, parroco di San Giuseppe Cafasso, in corso Grosseto, zona popolare della periferia Nord nel quartiere Borgo Vittoria. «Capisco che la visita di un Presidente del Consiglio non prevedesse bagni di folla, ma non è stato coinvolto il territorio, le associazioni in primis – ha commentato il sacerdote – Speriamo che così come il Presidente del Consiglio è arrivato qui a volo d’uccello, sulla nostra periferia, anche i fondi non passino a volo d’uccello. Bisogna ricucire il rapporto tra la città e i cittadini affinché questa scollatura, manifestata anche con la bassa affluenza alle urne, possa rientrare al pari dei disagi che vengono percepiti: dai cassonetti dell’immondizia strapieni, alle strade con le buche. Nel nuovo bilancio sono stati stanziati molti fondi per il decoro urbano e qualche piccolo segno di inversione di tendenza si vede ma la ricucitura passa attraverso i segni di vicinanza: le energie migliori, bisogna spenderle per le periferie, abbandonate per troppo tempo».
«Guardare agli edifici va bene, ma riqualificare città ‘piene di zombie’ no. Serve più attenzione alle persone». Un appello forte, quello pronunciato da padre Nicholas Nyamasyo, dal 2013 parroco a Maria Speranza Nostra in Barriera di Milano. Sorride alla notizia di Mario Draghi in città, forse pensando a cosa accade dentro e fuori la sua parrocchia di frontiera, di «Barriera», oltre la quale ci porta: «Se ci sono delle risorse e delle attenzioni che siano concrete perché le periferie le conosciamo nel disagio e nelle povertà e non si può prescindere da una reale collaborazione con le parrocchie che sono sul territorio, ogni giorno e ogni notte, che tappano i buchi, facendo anche quello che dovrebbero fare lo Stato e le istituzioni – e promette –. Ci siamo sempre stati e ci saremo. Abbiamo a che fare tutti i giorni con le fragilità, la Circoscrizione 6 è piena di giovani senza nulla, che entrano in disagi forti e quando ci lamentiamo della scarsa sicurezza dovremmo guardare a loro. Alle famiglie fragili. A questi giovani parcheggiati in casa e in strada. Tra loro ci sono anche tanti ragazzi e ragazze migranti. La disperazione nei loro volti richiede una particolare attenzione. Oltre al grande tema del lavoro. Quindi ben venga guardare alle strutture, ma prima ci sono le persone, con le loro singole storie».