Cessate le ostilità tra Italia e Austria il 4 novembre 1918, si piangono i morti, si curano i feriti, si rieducano i mutilati – moltissimi fanti finiscono in manicomio -, si accolgono i rimpatriati dai fronti. C’è da provvedere alle vedove e agli orfani. Ci sono laceranti ferite da rimarginare. Le rovine non sono solo materiali ed economiche, ma anche personali e familiari, morali e spirituali. Paradossalmente, tra il 1914 e il 1918 la popolazione torinese aumenta del 15 per cento perché la produzione bellica innesca un forte afflusso di manodopera negli stabilimenti Fiat dove i tempi di lavorazione, sotto una disciplina militare, sono forsennati.
Pesano gravissime difficoltà economiche. Svalutazione della lira, oneri fiscali, mancata riforma agraria, caduta di competitività dei prodotti italiani sui mercati internazionali per le difficoltà di riconversione dell’apparato bellico – che aveva garantito giganteschi profitti alla Fiat e alle industrie pesanti – causano licenziamenti in massa, specie nel settore metalmeccanico, forte disoccupazione, povertà e crescenti tensioni sociali. Il successo della Rivoluzione russa, che porta i comunisti al potere, galvanizza i Partiti socialisti europei. Nell’estate 1917 a Torino scoppiano violenti scontri che provocano 41 morti. Lo scontro politico, le tensioni sociali, l’arroganza delle classi agiate, la miseria delle classi umili – i soldati tornano contadini a coltivare terre troppo a lungo abbandonate e gli operai nelle fabbriche hanno stipendi da fame, quando non vengono lasciati sul lastrico – sfociano nel «biennio rosso» (1919-20): scioperi, disordini, violenze, occupazioni di fabbriche e terre. morti, particolarmente a Torino.
Il Governo di Francesco Saverio Nitti indice le elezioni nel novembre 1919, le prime col sistema proporzionale: i liberali escono ridimensionati, vincono i socialisti (155 seggi) seguiti dai popolari (101), clamoroso il fallimento dei candidati fascisti. Al Governo va il cuneese di Mondovì Giovanni Giolitti con un programma di riforme. Al congresso del Partito Socialista a Livorno il 15-20 gennaio 1921 Amadeo Bordiga, Antonio Gramsci e Angelo Tasca fondano il Partito Comunista d’Italia. L’instabilità politica e la crisi sociale aprono la strada al fascismo. Il 10 gennaio 1919 muore il padre spirituale del Barberis, can. Eugenio Mascarelli, stroncato dalla «spagnola» a 42 anni.
Allora Barberis sceglie come guida il cottolenghino Francesco Paleari, direttore spirituale nel Seminario Metropolitano. Don Adolfo deve occuparsi del reinserimento dei cappellani militari e dei sacerdoti smobilitati, del recupero psicofisico di un clero frastornato e sbandato. Per quella serie di incarichi istituzionali, discrezionali e volontari che caratterizzano la sua vita, tocca a lui occuparsi dei comportamenti non troppo corretti di un confratello e del figlio illegittimo di un altro prete, dei problemi amministrativi – per i quali non ha alcuna predisposizione – perché occorre assicurare un avvenire ai sacerdoti reduci: per questo pensa a un «progetto di perequazione dei benefizi per garantire a tutti i sacerdoti un minimo vitale».
Sacra rappresentazione per festeggiare il cardinale
Nel 1923 ricorre il 50° di sacerdozio del cardinale arcivescovo Agostino Richelmy. L’aveva ordinato il suo predecessore Lorenzo Gastaldi il 25 aprile 1873. Don Barberis e altre personalità pensano di celebrarlo con una grandiosa «Sacra rappresentazione della passione di Nostro Signore» nell’imponente Stadium di Torino, anche come gesto di pacificazione degli animi dopo le lacerazioni e la generale depressione della Prima guerra mondiale e come messaggio forte alla città dopo i violentissimi assalti dei fascisti: le squadracce, guidate da Piero Brandimarte, tra il 18 e il 21 dicembre 1922 hanno ucciso una ventina di antifascisti e hanno devastato sedi di partiti e di giornali.
Barberis pensa utile un gesto distensivo: «La rappresentazione ha lo scopo di concorrere alla benedetta pacificazione degli animi, tanto auspicata, mediante la potente impressione religiosa su grandi masse che tale genere di spettacoli suole produrre». Un’iniziativa alla quale crede ma che non ha fortuna. «Basta. Ho avuto troppi dispiaceri e non li ho detti tutti»: così Richelmy pone fine allo spettacolo, che era andato in scena una cinquantina di volte, tra il 22 aprile e il 24 giugno 1923. Il 10 agosto 1923, assistito amorevolmente da Barberis, il cardinale muore.
Lo Stadium una follia nella Torino della Belle Époque
Lo Stadium fu una follia di Torino della Belle Époque e fu la grande attrattiva dell’Esposizione del 1911. Il più grande stadio d’Italia, e forse del mondo, più grande di Atene e di Londra, fu costruito nel quartiere Crocetta nell’area compresa tra i corsi Duca degli Abruzzi, Peschiera, Montevecchio e Castelfidardo, di fronte a Piazza d’Armi, dove oggi sorgono palazzoni residenziali, il Politecnico, l’Istituto tecnico Germano Sommeller, il liceo scientifico Galileo Ferraris.
In stile greco-romano, con statue dello scultore Giovanni Battista Alloati, sorge su 100 mila metri quadrati, ha 40 mila posti a sedere e 30 mila in piedi, 361 metri di lunghezza e 204 di larghezza, il doppio dell’attuale Stadio Olimpico. Sopra le tribune un camminamento da dove ammirare le Alpi e la collina. Attorno al terreno di gioco tre piste: una esterna di 730 metri per le gare ciclistiche, una mediana per le corse dei cavalli, una terza di 500 metri per i podisti. Sotto le gradinate spogliatoi, locali di ristoro, palestre per la scherma, la ginnastica maschile e femminile, la lotta, il lancio del disco, il tiro a segno con archi e balestre, lawn-tennis (tennis sull’erba), lo skating (pattinaggio artistico a rotelle). Poi una piscina di 200 metri, anche per i tuffi, che può essere svuotata e coperta per ospitare palestre e campi da tennis. Una costruzione enorme per dare spazio agli sport e agli spettacoli di massa.
Progettato dagli architetti Vittorio Ballatore di Rosana, Carlo Ceppi e Ludovico Gonella, è un impianto in cemento armato, il primo in Italia dotato di illuminazione elettrica, finanziato dai privati. Inaugurato il 30 aprile 1911, con un saggio ginnico di 6.000 allievi delle scuole municipali, alla presenza di Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro e 80 mila spettatori. Vi si disputano le gare ginniche internazionali, il concorso tra gli allievi delle scuole maschili e femminili di tutta Italia, il concorso militare nazionale con 25 mila atleti di Esercito, Marina e Guardia di Finanza, il concorso ippico. Vi si distribuiscono le medaglie alle famiglie dei caduti nella guerra libica; la Nazionale di calcio italiana batte quella belga 1-0 e la Svizzera 3-1. Nel 1923 ospita la Mostra delle invenzioni e delle industrie, divenuta poi Salone della Meccanica e della Tecnica e nel 1928 ospita il «Carosello storico sabaudo» con costumi medioevali e risorgimentali.
Don Adolfo si ispira alla «Passione» bavarese
Don Barberis si ispira alla famosissima «Passione» di Oberammergau in Baviera e invita don Attilio Vaudagnotti a redigere il libretto. Il teologo la concepisce come il centro della storia umana, come la cima di un monte con due versanti. Un versante è la preparazione al riscatto della umanità, con alcuni episodi dell’Antico Testamento. La cima è la passione e morte di Cristo tratta dai Vangeli. L’altro versante sono le conseguenze della Redenzione nella vita e nella storia della Chiesa. L’Eucaristia è raffigurata dalla manna, dall’Ultima Cena, dal Miracolo Eucaristico di Torino nel 1453.
Lo spettacolo è mimico-corale perché, data l’immensità dello Stadium, è recitato senza parole, e vengono eseguite musiche polifoniche: mons. Casimiro Raffaele Casimiri e il torinese mons. Ippolito Rostagno dirigono il possente coro. L’apparato è colossale: sui 12 mila metri quadrati del palco poggiano giganteschi scenari della città di Gerusalemme, preparati dagli scenografi del Teatro Regio e dal pittore Ugo Gheduzzi, e si muovono 120 attori e 1.000 comparse, preparati da direttori di scena e registi. All’evento dedicarono molta attenzione i giornali «Il Momento, Gazzetta del Popolo, La Stampa».
Nel 50° dell’evento mons. Vaudagnotti sul suo «L’Amanuense della Santissima Trinità» (1° luglio 1973) scrisse: «Lo spettacolo d’arte, che riproduceva nelle figurazioni mimiche e nelle pose statuarie i grandi capolavori di pitture e sculture del Rinascimento e dei Fiamminghi, fu accolto unanimemente con plauso. Per grandiosità, dignità, eleganza di scenari e di costumi vinceva tutte le precedenti rappresentazioni, incluse quelle di Oberammergau. Non mancò il frutto spirituale: vi furono anche conversioni. Ma non si ebbe il successo finanziario. L’inclemenza del tempo – una bufera di vento sradicò dalla prima recita parte degli scenari -, la deficiente organizzazione dei pellegrinaggi, le carenze dello spettacolo, che non era compreso da molti, data la mancanza di altoparlanti, che dessero le necessarie spiegazioni ai meno provveduti, influirono a rendere, nell’insieme, scarso il pubblico. Spesso assistevano 10 mila persone, ma lo Stadium ne poteva contenere 60-70 mila. Le gare sportive richiedono minori lumi esegetici, infiammando le passioni terrestri, assicurano invidiabili pienoni».
Vaudagnotti racconta «le reazioni di persone dabbene, che ebbero a scandalizzarsi per la condotta di attori e attrici, non coerente con i personaggi sacri che sostenevano. Certo ad Oberammergau tutti gli attori son buoni e pii paesani, che si preparano alla rappresentazione con fervore di fede come a una devozione. Ma la Torino del principio del secolo non era un villaggio medioevale. Si dovettero scegliere i principali interpreti tra i grandi attori delle compagnie drammatiche in voga, i quali non brillavano tutti per costumi angelici. L’opera d’arte ha diritto di essere distinta dalla condotta privata degli esecutori, e giudicata in sé stessa. Ciò non compresero alcuni zelanti, che arrivarono a denunziare alla Segreteria di Stato la “Passione” di Torino. Il cardinale Richelmy, che aveva preso sotto la sua egida la sacra rappresentazione per mezzo del suo segretario Barberis, ed era intervenuto alla prima e a varie repliche per accompagnarvi vescovi, cardinali e principi, si trovò in difficoltà, e dovette presentare giustificazioni a Roma. Era già sofferente della malattia che pochi mesi dopo l’avrebbe stroncato».
Don Barberis sa che in quella massa di figuranti si infila gente di ogni risma, «persone da trivio che noi, con infinite noie, abbiamo allontanato». Fu un’impresa epica, economicamente perdente. Due mesi di prove, un grandissimo successo la «prima» e le cinquanta le repliche. L’adesione della nobiltà, del clero e delle autorità e la grande partecipazione popolare non evitano a don Barberis pesanti critiche. Ciò che più lo addolora è che a Pio XI, succeduto nel 1922 a Benedetto XV, vengano trasmesse notizie tendenziose e inesatte. Lo scrive a don Francesco Lardone, prete torinese che lavora in Vaticano: «Non sappiamo come esprimere tutta la pena che abbiamo provato nel pensare di essere stati occasione di dispiacere al Santo Padre. Ci conforta sapere che informazioni più precise hanno diminuito la pena al cuore del Comun Padre. Avremo un deficit finanziario di molte centinaia di migliaia di lire. Ci rallegra invece la certezza che il bilancio morale sia assai florido».
Il Politecnico al posto dello Stadium
In definitiva lo Stadium fu una follia: non si riusciva a vedere e sentire nulla, tanto che Juventus e Torino giocano altrove le partite casalinghe. Ospita fuochi pirotecnici e corride, mostre di cani e di cavalli, concorsi ippici, gare di pallone elastico, corse di bici, di auto e di moto, proiezioni cinematografiche estive, circhi equestri, mostre ed esposizioni. Ma dopo pochi anni l’impianto viene abbandonato. L’epitaffio in un Consiglio comunale: «Una costruzione che a nulla serve, che sente odore di muffa, che appare frusto, un rudere». Bombardato nella Seconda guerra mondiale, fu demolito: al suo posto sorge la nuova sede del Politecnico di Torino inaugurata l’11 novembre 1958 dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi: si aggiunge alla sede storica di Architettura nel Castello del Valentino.
Pier Giuseppe Accornero