Scriviamo «benvenuto», anche se il nuovo Arcivescovo ha sempre vissuto a Torino. Non accadeva da un secolo, di avere un Vescovo nato e cresciuto in questa Chiesa. Accade oggi con l’Arcivescovo Roberto, 55 anni, figlio della Chiesa torinese, chiamato a guidare quella stessa comunità che fino a ieri serviva come professore della Facoltà Teologica, prete a San Lorenzo e a Druento, assistente nelle associazioni laicali.
Repole conosce la città e le sue campagne. Conosce a fondo la Chiesa subalpina. Non avrà tanto il problema di informarsi, quanto quello di cambiare prospettiva per essere Vescovo di tutti. Accettata questa prova personale, non facile, sarà accolto dal sostegno e dall’affetto che tanti, tantissimi gli hanno manifestato a cuore aperto in questi mesi, dopo il 19 febbraio, quando il Papa a sorpresa annunciò la sua nomina sulla Cattedra di san Massimo.
Innanzi tutto il Vescovo conosce Torino. Conosce la grande sofferenza accumulata dalla città in decenni di crisi industriale, una disgrazia che ha bruciato posti di lavoro a decine di migliaia. La crisi sociale in questi lunghi anni è diventata crisi di «senso», per gli anziani chiusi nei ghetti di periferia, ma soprattutto per le famiglie e per i giovani, tanti giovani disoccupati, messi ai margini, che oggi faticano a immaginare per sé un futuro di speranza.
La Chiesa torinese spende molte delle sue energie per soccorrere i poveri, per accogliere i forestieri, per farsi presente nei territori abbandonati, nei quartieri dove si concentrano le sacche di emarginazione. Il Vescovo Repole – nelle prime interviste che ha concesso ai giornali torinesi – ha fatto comprendere che occorre affiancare la carità sociale con una comunicazione aperta, forte, esplicita delle ragioni che fondano la Speranza cristiana: queste ragioni si riassumono in Gesù morto e risorto, vincitore di ogni male. Nel giorno della sua nomina, due mesi fa, mons. Repole ha subito parlato della «bellezza straripante» del Vangelo di Gesù, spiegando che questo è il vero tesoro della Chiesa, il vero dono che la Chiesa può offrire al mondo. C’è da credere che sarà un tema dell’episcopato.
L’altro tema è la Chiesa. Il Vescovo Roberto è un prete della Chiesa torinese, dove si è formato fin da ragazzino (aveva 11 anni) nel Seminario di Giaveno, proseguendo la preparazione nel Seminario di Torino, poi specializzandosi proprio negli studi teologici sulla Chiesa.
È prete dal 1992, festeggerà trent’anni di sacerdozio il prossimo 13 giugno. Della Chiesa torinese ha vissuto le vicende sotto quattro Arcivescovi predecessori. Parte «avvantaggiato» dalla conoscenza della storia e dalla percezione della ricchezza, dell’immensa varietà di esperienze custodite in questa Chiesa: persone, gruppi, parrocchie, comunità religiose, opere sociali e culturali. «Questa è la mia Chiesa, la Chiesa che amo» ha detto Repole presentandosi alla Diocesi: abbiamo inteso che porterà in dote un amore forte e personale, sul quale costruire.
Per la Chiesa, certamente anche per la Chiesa di Torino, si preparano anni di grandi, inevitabili trasformazioni. La secolarizzazione sta modificando le forme del sentire religioso, molti luoghi di culto stanno svuotandosi, la crisi delle vocazioni sta assottigliando il clero diocesano, che è sovraccarico di «lavoro» e spesso conosce preti stanchi. Tutti sanno – anche se c’è prudenza a parlarne – che le forme, l’organizzazione delle comunità cristiane dovranno presto cambiare. Non sarà tanto un problema organizzativo; sarà, anche in questo caso, una questione di «senso», di comprensione del senso di essere Chiesa. E da qui deriveranno le scelte sui modelli della Chiesa futura.
Sarà una bella sfida. Dovrà tener conto di opinioni diverse fra i preti e i fedeli, fra quanti mettono in conto il cambiamento e quanti invece lo temono, vorrebbero una Chiesa a immagine del passato. Le opinioni si confrontano e qualche volta si scontrano, anche se meno di quanto non amino raccontare i giornali. Le diverse visioni di Chiesa sono anche visioni diverse del mondo, del confronto con la cultura contemporanea, che interroga i cristiani sempre più frontalmente sui temi etici e della convivenza civile. L’Arcivescovo viene da studi specialistici proprio su questi argomenti e ci pare certo che li affronterà, tenendo presente – ha già detto – che «il Vescovo presiede alla vita della comunità cristiana, ma quella che conta davvero è la comunità». Sarà dunque un discernimento comunitario.
Torino e la sua Chiesa. Un Vescovo nuovo. E noi comunità, chiamati a rinnovarci insieme al Vescovo. Si aprono anni belli e impegnativi. All’Arcivescovo Roberto va il saluto affettuoso della Diocesi e di questo giornale, con molti auguri di proficuo ministero e molta riconoscenza per il dono del suo servizio fra noi. Benvenuto!