Una crisi che fa esplodere i nodi non risolti

Analisi – Sempre più spesso, negli ultimi mesi, dai colloqui con i cristiani di Terra Santa trasparivano una preoccupazione e un disagio diversi da quelli, consueti, per le situazioni di profonda ingiustizia che da 75 anni rendono più difficile la vita di tutti, in Israele e nei Territori Palestinesi

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Sempre più spesso, negli ultimi mesi, dai colloqui con i cristiani di Terra Santa trasparivano una preoccupazione e un disagio diversi da quelli, consueti, per le situazioni di profonda ingiustizia che da 75 anni rendono più difficile la vita di tutti, in Israele e nei Territori Palestinesi. C’era la sensazione che la situazione di conflitto si avvicinasse a un punto non più sostenibile. Ora il deflagrare dell’orrore sembra confermare quelle loro sensazioni; e, anzi, la violenza sta superando ogni immaginazione. Mentre scriviamo (mercoledì 11 ottobre) non è possibile fare alcuna previsione, e le ipotesi di cessare il fuoco sono ancora di là da venire. Nel «piccolo» della realtà torinese si può registrare che i gruppi di pellegrini torinesi che si trovavano in Terra Santa sono rientrati senza danni. Ma nulla più.
Il conflitto, come sempre per il Medio Oriente, coinvolge il mondo intero, ben più di altre guerre locali altrettanto sanguinose e feroci.

L’aggressione dei terroristi di Hamas (che non sono il popolo palestinese) ha obbligato tutti a prendere atto di alcuni dati di fatto. È evaporato, per esempio, il mito che i sistemi di sicurezza e le tecnologie di Israele fossero inattaccabili; e al posto di quell’illusione sono rimaste molte domande inquietanti su come sia stato possibile non solo accumulare nella Striscia armi e missili ma soprattutto aggirare la rete di informazioni che accompagna, controlla, indirizza ogni conflitto. Non per caso, nel momento più drammatico della vita di Israele, quando l’unità nazionale è più che una necessità, le spaccature nella politica e nello Stato di Israele sono esplose con grande evidenza: l’autorevole «Haaretz», quotidiano della sinistra moderata, ha potuto scrivere che l’intera responsabilità politica di questo disastro militare e umanitario è del primo ministro Netanyahu, al potere da un ventennio e oggi a capo di una coalizione che si regge sull’apporto decisivo dei partiti estremisti dei religiosi e dei coloni. Contro le «svolte» legislative che l’attuale maggioranza vorrebbe imporre la società israeliana scende in campo da mesi, ed era finora riuscita a fermare l’iter di certi provvedimenti. Ma lo scontro ha reso evidenti le divisioni e le fratture: e questo potrebbe essere uno dei fattori che ha incoraggiato Hamas a forzare i tempi e a lanciare la sua brutale e in ogni modo inaccettabile campagna di terrore.

Un’altra delle motivazioni «forti» della carneficina scatenata da Hamas potrebbe trovarsi nel tentativo, da parte del movimento fondamentalista, di accreditarsi come autentico rappresentante della «Palestina» e della sua lotta di liberazione, a fronte di un’organizzazione, Fatah, che si è quasi del tutto screditata in questi anni, sia uscendo perdente dal confronto con Israele sia sprofondando nella corruzione e nel malaffare. Ma Hamas non è uno Stato, e questa non è una «guerra» ma un progetto sciagurato di terroristi. Come terroristi erano (e sono) quelli dell’Isis e degli altri movimenti violenti che hanno operato in Europa in questi anni.

La scelta della data, il 7 ottobre, è da vertigine. È lo stesso giorno in cui 50 anni fa scoppiò la guerra del Kippur; ma è anche il giorno in cui iniziarono le operazioni militari in Afghanistan nel 2001, dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Anche quella scelta non fu casuale: perché il 7 ottobre 1571 ricorda la vittoria delle armate cristiane d’Europa contro i Turchi a Lepanto…

Attraverso la simbologia delle date e delle ricorrenze si comprende meglio perché il mondo intero, e l’Occidente soprattutto, è chiamato in causa. Non si tratta solamente di arginare al più presto le violenze sui civili e le azioni di guerra, quanto di individuare il terreno su cui sia possibile costruire un armistizio con il coinvolgimento della comunità internazionale. Ma lo scenario creato da Hamas rende quasi impossibile questo tipo di interventi, ed è questo il cuore della tragedia. Tuttavia, aver portato la crisi alle estreme conseguenze potrebbe essere lo spiraglio per «inventare» un vero cambio di direzione nella regione.

Per il momento c’è solo l’orrore. Ne è ben consapevole il Patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pizzaballa, che fin dalle prime dichiarazioni ha lasciato intravedere «tempi lunghi» e grandi sofferenze non solo in Terra Santa. È il momento del coraggio, e della profezia: le parole di papa Francesco sulla pace sono più che un invito al cessate il fuoco; e la sua amara intuizione sulla «terza guerra mondiale a pezzi» si sta rivelando fin troppo esatta.

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