Venezuela sempre più in bilico. L’ultimatum di 8 giorni che il 26 gennaio numerosi Paesi europei, sostenuti dall’Alto commissario Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, avevano dato al contestato presidente venezuelano Nicolas Maduro affinché cedesse il passo alla volontà popolare con nuove e libere elezioni, è scaduto. Maduro non ha indetto le elezioni e dalla maggior parte dei paesi europei è arrivato il riconoscimento di Guaidó (che dal 23 dicembre si era autoproclamato alla guida del Paese) come presidente ad interim del Venezuela.
Un veto alla dichiarazione congiunta Ue è arrivato dall’Italia che sul sostegno a Guaidó vede su posizioni diverse Lega e Cinque Stelle, mentre il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella intervenuto a margine dell’inaugurazione del centro rifugiati Astalli a Roma ha sottolineato come la situazione richieda «senso di responsabilità e chiarezza su una linea condivisa con tutti i nostri alleati e i nostri partner l’Ue. Non ci può essere incertezza né esitazione: la scelta tra la volontà popolare e richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della forza democratica».
Il Papa sul volo di ritorno dagli Emirati Arabi, rispondendo ad una domanda sulla lettera inviatagli da Maduro, ha puntato l’attenzione sull’importanza del dialogo: «Perché si faccia una mediazione, ci vuole la volontà di ambedue le parti, che siano ambedue le parti a chiederla». Nello stesso giorno in una nota congiunta di vescovi, religiosi e laici venezuelani l’invito ad agire «in forma pacifica e attraverso gli strumenti della Costituzione». «Sperimentiamo», si legge nel documento «in tutte le comunità nelle quali prestiamo servizio, e in tutto il contesto nazionale, una situazione dolorosa di ingiustizia e sofferenza per la carenza di ciò che è necessario per una vita degna e produttiva, e per la mancanza di difesa di fronte alla giustizia. Tutto questo ha generato la ricerca di un cambiamento politico attraverso un processo di transizione pacifica e trasparente, che porti a elezioni libere e legittime, per riprendere la direzione della democrazia e giungere al ripristino dello Stato di diritto, alla ricostruzione del tessuto sociale, della produzione economica e della morale nel Paese».
Abbiamo contattato attraverso Missioni Don Bosco – il cui presidente Gianpietro Pettenon lo scorso anno aveva visitato le comunità salesiane del Paese e che mantiene contatti con i religiosi che operano là – il vescovo mons. Jonny Eduardo Reyes Sequera, Vicario apostolico di Puerto Ayacucho nella zona amazzonica del Paese, e padre Rafael Andrés Borges a Caracas. Voci che testimoniano la gravità della situazione, ma anche la speranza e la fiducia in una ripresa.
«Quello che impressiona», esordisce Pettenon, «è constatare come oggi il Venezuela risulti un Paese paralizzato, VenezuelaUn Paese che aveva risorse e ricchezze, ma dove la popolazione è rimasta senza nulla. Ad esempio non manca il petrolio e la benzina ha costi bassi, ma qualunque pezzo di un’auto si rompa non lo puoi sostituire. Nemmeno l’olio per il motore: per comprarne un litro ci vanno tre mesi di stipendio, sei per un pneumatico. L’altra settimana mi hanno comunicato che è morto un giovane di 24 anni a causa del diabete, perché non ha potuto curarsi. Non ci sono medicine, si muore per poco…».
Da una parrocchia di Caracas, che ha appena celebrato la festa di Don Bosco, parla Rafael Andrés Borges: «Il Venezuela sta attraversando una fase molto dolorosa della sua storia nazionale, su questa data, 31 gennaio 2019, pesano venti anni di una disfatta sociale causata sia da una grave confusione politica, con una pratica molto fragile della democrazia, sia da un grave indebolimento morale. Questi elementi costituiscono un terreno fertile, negativo, per l’aumento di alcuni virus nella vita sociale venezuelana. In primo luogo, uno scoraggiamento generalizzato che ora domina nella coscienza del cittadino. Il venezuelano che è allegro ed entusiasta per cultura è diventato una persona triste, timorosa e diffidente, senza sogni. L’anarchia è un’altra delle ‘malattie’ che ci hanno colpito: per il momento ci sono due casi di governabilità, quella prevista dalla Costituzione del Paese e quella che cerca di imporsi da parte di un regime usurpatore. L’attuale situazione trasmette modelli pericolosi di comportamento: come se la mancanza di rispetto fosse la pratica da seguire in tutto. L’anarchia si veste di arroganza e violenza. Tutto va di pari passo alla corruzione come modus operandi in tutte le aree della vita nazionale».
«In questo difficile contesto sociale, politico ed economico», prosegue padre Rafael, la Famiglia Salesiana del Venezuela ha affrontato la sfida di celebrare bene la santità di Don Bosco, segno che tutte le Opere salesiane di questo Venezuela continuano a scommettere di arrivare alla giustizia e alla pace nella democrazia. Limitazioni di sicurezza finanziaria e sociale non hanno impedito numerosi concorsi, diverse veglie di preghiera, tornei sportivi, liturgie giovanili, processioni popolari, novene, laboratori». «Continuano infatti i nostri salesiani», aggiunge Pettenon, «a cercare di incoraggiare la gente proseguendo per quanto possibile nella normalità: scappano gli insegnanti delle nostre scuole, scappano gli studenti, ma per chi cerca di restare, è fondamentale il sostegno e per i giovani la fiducia che passa attraverso il quotidiano… ».
«Non appena il periodo natalizio è finito», racconta mons. Jonny Eduardo Reyes Sequera, «abbiamo iniziato a pensare alla festa di San Giovanni Bosco. Chiunque potrebbe chiedere: ‘E la crisi del Paese? E la situazione della tensione socio-politica? E la crisi alimentare e le medicine? E la protesta del clima sociale in tutte le città?’ Tutto ciò non l’abbiamo dimenticato, ma lo abbiamo assunto come ‘cornice motivazionale’. Nel pieno della crisi i giovani hanno cantato, ballato e suonato anche se c’era una forte presenza militare nelle strade».