Vent’anni fa il restauro della Sindone

20 giugno – 22 luglio 2002 – In gran segreto, vent’anni fa, la Sindone, custodita nella Cattedrale di Torino, fu sottoposta ad un completo restauro curato dalla dottoressa Metchild Flury Lemberg, già direttrice del «Museo Abegg» di Berna in Svizzera, con l’assistenza della dott.ssa Irene Tomedi

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In gran segreto, vent’anni fa, dal 20 giugno al 22 luglio 2002 la Sindone – che una consolidata tradizione considera il lenzuolo funebre di Cristo – custodita nella Cattedrale di Torino fu sottoposta a un completo restauro. Era dunque una Sindone sostanzialmente «rinnovata» quella presentata a scienziati e giornalisti dall’arcivescovo di Torino e «custode pontificio» cardinale Severino Poletto, dal suo consulente scientifico prof. Piero Savarino, dal presidente della Commissione diocesana mons. Giuseppe Ghiberti e dalla curatrice del restauro la dottoressa Metchild Flury Lemberg, già direttrice del «Museo Abegg» di Berna in Svizzera, con l’assistenza della dottoressa Irene Tomedi.

Le esperte hanno asportato le «toppe» – vecchie di quasi cinquecento anni – cucite nel 1534 dalle Clarisse di Chambéry per riparare i gravissimi danni provocati dall’incendio che nel 1532 divampò nella Sainte Chapelle dove era custodito e hanno fatto una completa revisione delle cuciture. L’obiettivo è conservare disteso il tessuto e ridurre il più possibile le pieghe che increspavano il tessuto e rendevano problematico ogni spostamento, srotolamento e arrotolamento. Sono stati asportati il pulviscolo e i «detriti» che, nei secoli, si erano accumulati: ogni frammento è stato catalogato. È stato rimosso e sostituito il «telo d’Olanda» che da oltre 450 anni faceva da supporto alla Sindone.

Dal punto di vista scientifico estremamente interessante è stata la scansione elettronica completa delle due facce del telo, effettuata dall’équipe del prof. Paolo Soardo dell’Istituto «G. Ferraris» di Torino: ora si dispone dell’intera «mappatura digitale». Nel novembre 2000 una prima scansione era stata fatta sul retro e sulla parte centrale perché cuciture e toppe impedivano il passaggio dello scanner. Gli interventi rientravano nel programma tracciato dalla Commissione internazionale per la conservazione, composta da scienziati di varie nazioni, che aveva fornito al «custode» le indicazioni e i criteri ottimali di conservazione. Il progetto autorizzato dalla Santa Sede è ora completato. È custodita in Duomo in una speciale teca supertecnologica sotto la Tribuna reale al fondo della navata di sinistra.

Il cardinale Poletto aveva spiegato: «Gli interventi sono stati eseguiti in modo riservato non per smania di segretezza quanto per garantire la necessaria calma a chi doveva lavorare, oltre che per evidenti ragioni di sicurezza. Il restauro è stato autorizzato per iscritto dalla Santa Sede ed è stato effettuato adempiendo pienamente le due condizioni che aveva posto: il consenso unanime dei membri della Commissione e la debita informazione alle autorità dello Stato. L’intervento – spiega il «custode» – era urgente e necessario: ha contribuito a rimuovere impurità e residui che potevano comprometterne la conservazione e danneggiare la leggibilità dell’immagine. Rivelerà in futuro tutta la sua utilità perché restituisce la Sindone alle migliori condizioni possibili e con tecnologie modernissime».

Il problema della conservazione è stato assolutamente prioritario per gli arcivescovi e «custodi» del secondo dopoguerra: i cardinali Maurilio Fossati, Michele Pellegrino, Anastasio Alberto Ballestrero, Giovanni Saldarini e Severino Poletto.

La «svolta» avviene con la decisione nel 1997 di mantenere il telo non più arrotolato intorno a un cilindro di legno in una cassetta di legno argentato – come avvenne per secoli quando la Sindone era custodita nella Cappella di Guarino Guarini fino all’incendio dell’11 aprile – ma disteso in posizione orizzontale. Viste le dimensioni – 4,36 metri per 1,10 – sono state realizzate speciali teche antiproiettile e antisfondamento, a tenuta stagna e in assenza di aria, per le ostensioni e per la conservazione permanente.

Ora la Sindone è più «leggibile» e più pulita, in pratica ringiovanita. Lo abbiamo potuto constatare di persona – insieme a colleghi giornalisti e scienziati provenienti da tutto il mondo – quando, dopo la conferenza stampa di presentazione di ieri, il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino e «custode pontificio», ha consentito una ostensione «privata» nella Cattedrale deserta di Torino.

Un «regalo» a sorpresa che ci ha permesso di vedere il telo, collocato in posizione distesa, praticamente senza più pieghe nella sua teca supertecnologica sotto la tribuna reale nella navata di sinistra. Un’ostensione che giornalisti e scienziati hanno seguito in raccoglimento e con emozione.

Il restauro è consistito in tre operazioni principali.

1) La Sindone è stata completamente scucita dal telo d’Olanda rosso sul quale era fissata dal 1534; sono state rimosse tutte le «toppe» cucite dalle Clarisse di Chambéry in Francia dopo l’incendio nella Sainte Chapelle del 1532 che rischiò di bruciare la tela, la intaccò gravemente e lasciò tracce ancora visibili che non si possono ovviamente eliminare. Le vecchie toppe non sono state sostituite con nuovi rattoppi: ora si notano i buchi lasciati dalle toppe che mostrano il bianco del nuovo telo di supporto – che ha sostituito il vecchio telo d’Olanda – e che è stato cucito sul retro della Sindone.

2) È stata effettuata la scansione digitale completa sia sul lato facciale e sia sul lato dorsale del telo.

3) È stata realizzata una nuova e completa documentazione fotografica.

Tutte queste operazioni sono avvenute sotto la sorveglianza del «custode pontificio» e il programma di restauro è stato esplicitamente approvato dal Papa. I lavori sono stati seguiti dagli assistenti del «custode»: il presidente della Commissione diocesana mons. Giuseppe Ghiberti e il consulente scientifico professor Piero Savarino.

La dottoressa Mechthild Flury Lemberg, direttrice emerita della «Scuola di restauro del tessuto antico» del «Museo Abegg» di Berna, assistita dalla dottoressa Irene Tomedi, ha eseguito l’ampio e complesso intervento di scucitura delle «toppe» dal lenzuolo e la separazione dal telo d’Olanda. Il professor Savarino spiega i criteri seguiti nell’operazione: «Miglioramento delle condizioni di conservazione asportando le parti inquinanti sui bordi delle bruciature, evitando di danneggiare la Sindone; raccolta, catalogazione e consegna al custode delle parti asportate sui bordi delle bruciature e senza effettuare tagli; ripristino di un telo di supporto per fornire un adeguato sostegno meccanico alla Sindone; osservazioni, misure e rilevazioni scientifiche nuove; effettuazione di rilevazioni microscopiche e di una completa scannerizzazione sul lato anteriore e posteriore; alcuni prelievi sul retro della Sindone». Questi prelievi sono stati effettuati dal professor Pier Luigi Baima Bollone.

L’operazione – dice mons. Ghiberti – «era necessaria per ridurre il problema delle pieghe sul telo e limitare i danni dovuti alla presenza di residui carboniosi. Gli interstizi fra il tessuto delle toppe e il lino sindonico avevano accumulato, lungo i secoli, polveri e detriti e una notevole quantità di microscopici frammenti carbonizzati. Il lino è molto antico, forte e consistente. Ma, così come era conservato, stava patendo, lo si sapeva da tempo» tanto che già la Commissione di esperti creata nel 1969 dall’allora arcivescovo di Torino cardinale Michele Pellegrino aveva proposto, tra l’altro, di togliere il telo d’Olanda.

Ma così si è perso l’aspetto tradizionale della Sindone? «L’abbiamo abbandonato a malincuore – risponde Ghiberti – anche se bisogna tenere presente che originariamente il telo d’Olanda e le toppe non c’erano».

Eccezionali misure di sicurezza hanno circondato il restauro. Dopo l’11 settembre si temeva che la Sindone potesse essere oggetto di attentati. I restauratori hanno lavorato in tutto una quarantina di giorni nella sacrestia nuova della Cattedrale.

Dopo l’attentato alle Torri gemelle nelle grandi città italiane ed europee erano stati individuati «obiettivi sensibili» che potevano diventare oggetto di attentati. A Torino in cima alla lista c’è la Sindone.

La Sindone, dunque, non è mai uscita dall’area del Duomo. «Venne allertata la polizia e si fece ricorso alle guardie giurate dei “Cittadini dell’Ordine”.  Fu costruita una staccionata esterna, una sorta di vallo tra la sacrestia nuova e la piazza». L’imprevista «ostensione privata» della Sindone per presentare alla stampa internazionale i risultati del restauro che ha «ringiovanito» il lino fu voluta dal cardinale per stroncare le polemiche che hanno infuriato dall’estate 2002 quando è filtrata la notizia del restauro. Il «custode» risponde alle critiche rivolte a lui e agli studiosi della Commissione internazionale, la cui composizione non è mai stata resa pubblica: «Nessun atto è stato compiuto senza il permesso della proprietà. La Commissione scientifica era tutta d’accordo, e questa era una delle condizioni poste dalla proprietà. La seconda condizione era che non venisse in alcun modo toccato o danneggiato il tessuto. Condizioni che sono state rispettate alla lettera».

Il cardinale fa queste precisazioni «con una certa amarezza dopo la diffusione di notizie false» e ribadisce che l’opera di ringiovanimento è stata compiuta in segreto solo per motivi di sicurezza. Il lino – così ripulito dalle scorie, soprattutto carboniche «Ma soprattutto sono assai migliorate le condizioni di conservazione rispetto a dieci anni fa, quando si iniziarono gli interventi con il cardinale Giovanni Saldarini».

Sempre rivolgendosi a chi aveva mosso critiche, l’arcivescovo aggiunge: «Niente, comunque, è andato perso perché tutto ciò che è stato rimosso, particelle e fili, è stato catalogato e conservato. Potrà essere oggetto di studio in futuro». Per il momento esclude che si possano fare nuove analisi. Sono esclusi categoricamente, per ora, altri esami con il C14, il radiocarbonio per la datazione. L’esame venne effettuato nel 1988 e diede una datazione medievale. Ma il risultato fu vigorosamente contestato da molti scienziati. L’intervento è stato approvato anche dagli esperti stranieri intervenuti alla conferenza stampa. Sul retro l’immagine non è impressa e che vi sono alcune macchie di sangue.

Il sindonologo don Adolfo Barberis aveva chiesto nel 1931 al cardinale Maurilio Fossati di condurre un’indagine sul retro del lino: non era stata permessa ma Barberis era convinto che sul retro non ci fosse l’immagine ma ci fossero le macchie di sangue.

Il lino rimane conservato disteso nella teca di alluminio e cristallo messa a punto dall’Alenia, l’industria spaziale torinese, e protetto da un sarcofago blindato. All’ingresso del sarcofago c’è una pesante porta di cristallo corazzato antiproiettile, antisfondamento e sono state prese molte misure elettroniche di sicurezza.

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