Papa Wojtyla dialoga con l’Uomo dei dolori. Accadeva vent’anni fa: il 24 maggio (era una domenica) 1998 Giovanni Paolo II a Torino venera la Sindone durante l’ostensione e proclama beati tre piemontesi.
Sabato 23 maggio arriva in aereo a Caselle e in elicottero raggiunge Vercelli, la prima città piemontese nella quale giunse il Cristianesimo grazie all’evangelizzatore e proto-vescovo Sant’Eusebio, patrono della Regione. È l’«Anno eusebiano» per i 1650 anni dell’ordinazione episcopale di Eusebio. Il primo incontro è nell’abbazia di Sant’Andrea, «un vero capolavoro dell’architettura gotica del secolo XIII: invita a guardare in alto. Il senso della vita non si esaurisce nelle preoccupazioni terrene, ma ha bisogno della luce che viene all’alto. A Vercelli prese vita nel 1228 la prima Università del Piemonte, lo “Studium” con prestigiosi docenti. Poi la provincia è stata riconosciuta come una delle capitali della produzione del riso».
Durante la Concelebrazione in piazza la beatificazione del vercellese don Secondo Pollo, eroico cappellano degli Alpini morto in Montenegro nel dicembre 1941 mentre soccorreva un commilitone ferito: «Il suo fu l’esempio di presbitero coraggioso. La Provvidenza Io chiamò a molti compiti. Fu educatore nei Seminari e generoso dispensatore della misericordia divina nel Sacramento del perdono; operò con entusiasmo fra i giovani come assistente di Azione Cattolica e li seguì nella bufera della guerra come cappellano degli Alpini»
Domenica 24 maggio in elicottero il Papa atterra al parco del Valentino e in auto raggiunge piazza Vittorio Veneto. Su un palco lungo 58 metri, alto 12 e profondo 15, arredato con i colori bianco e viola dell’ostensione e orientato verso via Po, davanti a 50 mila persone proclama beati tre figli della terra piemontese: il parroco torinese Giovanni Maria Boccardo, la religiosa alessandrina Teresa Grillo Michel e la giovane Teresa Bracco di Acqui. Concelebrano 5 cardinali, 32 arcivescovi e vescovi, un migliaio di sacerdoti.
Giovanni Paolo II parla dei nuovi beati: «Don Giovanni Maria Boccardo fu uomo di profonda spiritualità e attento ai segni dei tempi. Seppe chinarsi su ogni miseria con uno spirito che trasfuse nella sua Congregazione femminile. Teresa Grillo Michel è testimone di luminosa carità evangelica e diffuse l’amore tra i poveri: rimasta vedova, si pose a servizio degli ultimi, madre di tanti abbandonati. In Teresa Bracco brilla la castità, difesa fino al martirio. A 20 anni, nella seconda guerra mondiale, scelse di morire pur di non cedere alla violenza di un militare tedesco e si mantenne fedele a Cristo».
Alle 17 in Duomo guarda la Sindone con occhio trepido e mani tremanti, prega assorto, le spalle ricurve, il corpo piagato dagli acciacchi, il viso sofferente. Lo sguardo rivela il dialogo con l’Uomo dei dolori. Poi pronuncia il discorso. Con un’indispensabile premessa: la Sindone è un’icona, un’immagine, un richiamo, un simbolo della passione e morte di Cristo, ma non è un contenuto di fede. A differenza dell’Eucaristia «che è il Sacramento al centro delle attenzioni della Chiesa e che, sotto apparenze umili, custodisce la presenza vera, reale e sostanziale di Cristo» e che è contenuto essenziale e insostituibile della fede. Il primo gesto entrando in Cattedrale è inginocchiarsi e adorare il Santissimo Sacramento. Dopo venera Sindone, che non la chiama mai «reliquia» ma «icona di Cristo».
Soppesa il discorso parola per parola per le notevoli implicanze in campo religioso, ecclesiale, ecumenico e scientifico. Mai un Papa ha impegnato in maniera così esplicita la propria autorità e il proprio magistero; mai si è pronunciato in modo così chiaro a favore dell’autenticità della Sindone; mai ha dedicato un discorso teologicamente e pastoralmente così approfondito, ampio e minuzioso, una sorta di «enciclica sulla Sindone». In sei punti.
1) «La Sindone è provocazione all’intelligenza» dei credenti, e in particolare dei ricercatori, perché nella scienza «la Chiesa non ha competenza specifica ma esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite che diano per scontati risultati che tali non sono». Frase che molti leggono come critica all’esame del C 14 che nel 1988 sentenziò: il tessuto è medievale.
2) «È specchio del Vangelo» perché quanto gli evangelisti raccontano della passione e morte è fedelmente riprodotto sulla tela: «Costituisce un segno veramente singolare che rimanda a Gesù e invita a modellare la propria esistenza su quella di Colui che ha dato se stesso per noi».
3) «Nella Sindone si riflette l’immagine della sofferenza umana. Essa ricorda all’uomo il dramma di tanti fratelli e lo invita a interrogarsi sul mistero del dolore. L’impronta del corpo martoriato del Crocifisso si pone come icona della sofferenza dell’innocente di tutti i tempi».
4) «È immagine dell’amore di Dio oltre che del peccato dell’uomo. La contemplazione del Corpo martoriato aiuta l’uomo a liberarsi dalla superficialità, dall’egoismo, dal peccato».
5) «È immagine dell’impotenza della morte e ci spinge a misurarci con l’aspetto più conturbante dell’Incarnazione: Dio si è fatto uomo assumendo la nostra condizione in tutto, anche nella morte, fuorché nel peccato. Ma la fede ricorda che il sepolcro non è il traguardo ultimo dell’esistenza perché Dio ci chiama alla risurrezione e alla vita».
6) «È immagine del silenzio». Ritorna il pensiero di Wojtyla cardinale quando parlò di «testimone muto ma sorprendentemente eloquente della passione e morte di Cristo». Ora aggiunge: «Nel suo silenzio offre la commovente conferma che l’onnipotenza di Dio non è arrestata da nessuna forza del male. Essa aiuta a riscoprire la fecondità del silenzio per superare la dissipazione dei suoni, delle immagini, delle chiacchiere che impediscono di sentire la voce di Dio».
Al termine della giornata, Papa Wojtyla saluta migliaia di persone davanti alla Cattedrale; confida che il pellegrinaggio è stata «un’esperienza che lascia nel mio animo una traccia indelebile»; augura che «contemplando la Sindone scaturisca nei credenti il desiderio di ricercare costantemente il volto del Signore».