Vincenzo Gioberti a 220 anni dalla nascita

1801 – Ricorrono i duecentoventi anni dalla nascita di un importante protagonista della vita politica e culturale piemontese (e italiana) di quegli anni, Vincenzo Gioberti, nato a Torino. Il sacerdote torinese è oggi abbastanza sconosciuto ai più, ma a suo tempo fu definito da Cesare Balbo: “uno de ’filosofi principali della cristianità”

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La statua di Vincenzo Gioberti in piazza Carignano a Torino

Quest’anno abbiamo avuto la ricorrenza di alcuni anniversari “tondi”, legati alle vicende del Risorgimento e dell’unità nazionale. I principali sono stati ricordati con la giusta attenzione, come i centosessanta anni dalla proclamazione dello stato italiano (a Torino, il 17 marzo 1861), lo stesso anno della morte di uno dei suoi principali artefici, Camillo Cavour, avvenuta sempre a Torino, il 6 giugno. E’ stato quello un evento ugualmente ben celebrato, anche con l’inaugurazione del rinnovato memoriale dello statista, a Santena, nell’antica dimora della sua famiglia. Altri episodi, invece, non sono stati rammentati come avrebbero meritato, infatti, ad esempio, sono passati abbastanza inosservati i duecento anni trascorsi dai Moti liberali piemontesi del 1821 (un vero e proprio anteprima del Risorgimento): anche se, a dire il vero, alcuni convegni ad essi dedicati erano previsti in primavera, ma per motivi di prudenza sanitaria sono stati rinviati all’autunno.

Tra gli eventi “dimenticati” ci sono anche i duecentoventi anni dalla nascita di un altro importante protagonista della vita politica e culturale piemontese (e italiana) di quegli anni, quella di Vincenzo Gioberti, nato nel 1801 anche lui a Torino. Il sacerdote torinese è oggi abbastanza sconosciuto ai più, ma a suo tempo fu definito da Cesare Balbo: “uno de ’filosofi principali della cristianità”. A lui Balbo dedicò, nel 1844, il suo saggio Delle speranze d’Italia. Come altri filosofi italiani dell’800, Gioberti non è più molto studiato ed è perciò abbastanza ignota la sua opera principale Del primato morale e civile degli Italiani, anch’essa, come il libro di Balbo, pubblicata a Parigi, ma l’anno precedente, e dedicata a Silvio Pellico. Gioberti, tra l’altro, fu il principale teorico del cosiddetto “neoguelfismo” ottocentesco. I “guelfi” medioevali erano gli antichi patrioti italiani che si opponevano alla tirannia imperiale straniera. A loro, idealmente, si ispirarono gli intellettuali e i politici cattolici liberali che, nell’800, auspicavano l’indipendenza nazionale guidata dall’autorità papale (ma con un ruolo importante per i Savoia).  Anche i cattolici  “popolari” degli anni ’20 del secolo successivo, ispirati da un altro sacerdote, don Sturzo, amavano chiamarsi “neoguelfi”, in ricordo sia di quelli medioevali, sia di quelli ottocenteschi, soprattutto per la loro comune volontà di liberare l’Italia dall’oppressione (che  nei primi decenni del XX secolo non era più straniera, ma era nazionale e fascista).

A molti forse anche sfugge che il monumento di piazza Carignano, proprio di fronte alla  sede della prima Camera dei Deputati italiana, rappresenta un meditabondo Gioberti, che fu il primo presidente di quell’assemblea (fu anche capo del Governo e ministro).

Una circostanza singolare accomuna tre dei principali protagonisti di quella stagione di due secoli fa, Carlo Alberto, Gioberti e Cavour: tutti scomparsi all’età di cinquantun’anni, rispettivamente nel 1849, nel 1852 e nel 1861.

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