Dal 24 febbraio a causa dell’epidemia di Covid non si celebrano più funerali, ma la Chiesa torinese continua a farsi prossima di quanti vivono il momento del lutto e per questo ha rafforzato il servizio che già normalmente i diaconi permanenti svolgono presso i cimiteri di Torino. «Il servizio dei diaconi ai cimiteri cittadini», spiega don Claudio Baima Rughet, delegato arcivescovile per il Diaconato permanente, è continuativo ed è svolto da anni. In queste settimane si è fatto più intenso e particolarmente prezioso perché assicura la preghiera della Chiesa che affida al Padre i suoi figli in tempi in cui non si possono radunare le comunità per i funerali. La loro presenza, in quanto collaboratori del Vescovo, fa sentire alle famiglie in lutto l’abbraccio della grande famiglia cristiana, vincendo, almeno in parte, l’isolamento e il conseguente senso di solitudine».
Ed è la solitudine, infatti, la grande ferita di questa pandemia – come più volte ricordato dall’Arcivescovo – la ferita di un virus che «ti condanna a morire lontano dagli affetti più cari» e, come testimonia il diacono Marco Allara, responsabile dell’équipe che svolge questo servizio, «che ti isola anche nel momento della sepoltura e impedisce ai parenti di godere del sostegno di abbracci, strette di mano…».
L’équipe dei diaconi si è «allargata» per far fronte ad un numero di sepolture che è più che raddoppiato: si sono aggiunti alcuni ministri che ordinariamente sono impegnati in altri servizi e si è garantita una fascia oraria di servizio più ampia: «che poi», prosegue Allara, «si è dilatata ancora perché nessuno fosse privato della benedizione e in alcuni giorni si è arrivati a oltre 50 riti al Monumentale e più di 15 al cimitero Parco».
Una decina dunque i diaconi impegnati, organizzati in turni in modo da essere presenti in due al Monumentale, per accogliere ai due ingressi aperti, e uno al Parco. Poi ci sono anche sacerdoti che, in particolare nei cimiteri dei paesi, accompagnano il feretro per la benedizione, o che si rendono presenti anche per le esequie in città.
«Arrivano i feretri», prosegue Allara «e spesso, se si tratta di morti di Covid, i parenti più prossimi sono in quarantena e non c’è nessuno ad accompagnarli, se non gli addetti alle onoranze funebri. In quel momento siamo dunque anche il tramite di quel saluto che figli, mariti o mogli non possono fare, di quel saluto che spesso è un aiuto a elaborare il lutto. Per questo ci viene chiesto di essere filmati o di celebrare il rito in collegamento attraverso i telefoni». «Mi è capitato», conclude Allara, «di ricevere ringraziamenti da parte di familiari che avevano visto le immagini e si sono sentiti confortati, sentivano già forte il peso di non aver più potuto vedere il congiunto dal ricovero in ospedale, di non essergli stati accanto e hanno trovato un po’ di consolazione nel vedere la preghiera che ha accompagnato il passaggio alla tomba del loro caro».
«Il tempo purtroppo non è molto», aggiunge Nicola Ruggiero «e il fatto di essere giustamente protetti da guanti e mascherine e di rispettare le distanze rende più difficile un servizio che spesso è anche espresso con strette di mano, sguardi, carezze ai bambini. Ormai sono 15 anni che svolgo questo servizio e cerco sempre di stabilire un po’ di empatia con chi arriva con il suo dolore e i suoi ricordi… ora mi rendo conto che è ancora più importante, anche solo con lo sguardo, veicolare la speranza che la fede ci invita ad avere. Una speranza che deve aiutarci a vincere il dolore e le paure: anche io, non lo nego, un po’ di paura ce l’ho, ma credo che sia importante il nostro essere lì a infondere speranza a nome di tutta la Chiesa e ringrazio di questa possibilità che ci è stata data dal nostro Vescovo».
«Non abbiamo purtroppo il tempo», prosegue Marco Berruto, «di conoscere le storie, di poter dire qualcosa legato alla vita di chi è mancato, ma personalmente cerco sempre di ricondurre la breve preghiera al dono del Battesimo, a quell’essere figli che anche in quel momento di dolore, di isolamento, resta. Normalmente, tutti i defunti che benediciamo nel fine settimana vengono ricordati nella Messa celebrata nella chiesa dei cimiteri dai cappellani. Ora non è possibile, allora invito i parenti a non ‘perdere’ questo momento di preghiera, quando sarà possibile, nelle proprie comunità, o di comunicare il lutto ai parroci che ogni giorno celebrano comunque la Messa e possono ricordare il defunto. Far capire che anche se non c’è stato il funerale, la vicinanza, l’accompagnamento nella preghiera ci sono e ci saranno è un altro segno che aiuta… dico spesso che c’è una catena invisibile di preghiera che continua a tenerci uniti e a darci forza».
«Sono tra gli ultimi arrivati», spiega Giorgio Agagliati «come rinforzo per questo tempo e quello che posso dire è che credo che ciò che cerchiamo di fare è essere una piccola luce di speranza. Io uso spesso nel rituale il versetto del Vangelo di Matteo ‘Venite a me voi che siete affaticati e oppressi e vi darò ristoro’ perchè credo riassuma il significato del momento: comunicare ai parenti le parole di Gesù che valgono per chi stanno accompagnando e per loro stessi. Uso spesso l’immagine del momento che viviamo insieme come un prendere per mano chi è mancato per accompagnarlo a Dio, un prendere per mano che non è magari stato possibile fisicamente al momento della morte, ma lo è nella preghiera.
Ecco, credo che noi diaconi siamo lì a cercare di testimoniare la tenerezza di un Dio che comunque, anche nel dolore più cupo e profondo, nella rabbia, nello sconforto ci offre ristoro. Non abbiamo il potere di consolare, ma possiamo fare intravvedere una luce nel buio della morte. Il tempo della preghiera non è molto, ma cerchiamo, ciascuno con le proprie caratteristiche, di trasmettere ai presenti che quel tempo è per loro e per il loro caro e che anche se il contesto con mascherine è distanze obbligate potrebbe sembrare spersonalizzante, ciascuno è importante, ciascuno è preso per mano…».