Con la guerra franco-prussiana del 1870, 150 anni fa, i francesi lasciano indifesa Roma. Vittorio Emanuele II e il governo italiano ne approfittano. Il 20 settembre 1870 alle 5,15 l’artiglieria sabauda cannoneggia Porta Pia, Tre archi, Porta Maggiore. Attraverso la «breccia» di Porta Pia, si infilano i bersaglieri, comandati dal generale novarese Raffaele Cadorna. Alle 9,30 i difensori alzano bandiera bianca. Pio IX ordina al generale tedesco Hermann Kanzler di opporre una resistenza «pro forma»: 56 morti e 41 feriti tra gli italiani; 20 e 49 tra i pontifici. Romaoccupata, potere temporale finito, Stato Pontificio perso. Pio IX scrive al «caro nipote Luigi, tutto è finito. Senza libertà non si governa la Chiesa. Pregate per me». Lascia il Quirinale – dove si insedierà il re – e si rifugia in Vaticano.
Tutto inizia il 19 luglio: la Francia dichiara guerra alla Prussia.La battaglia di Sedan (31 agosto-2 settembre 1870), scontro decisivo della guerra franco-prussiana (19 luglio 1870-10 maggio 1871), si conclude con l’accerchiamento e la resa dei francesi. L’Imperatore Napoleone III, prigioniero dai prussiani, è costretto ad abdicare. A Parigi intanto – scrive Giovanni Sale, storico de «La Civiltà Cattolica» – «in un clima surriscaldato di rivoluzione sociale, prende il potere la “Comune” e dal 18 marzo al 28 maggio 1870 si abbandona a orribili violenze». Il 5 settembre è proclamata la terza Repubblica francese. Dalla sconfitta e dal crollo dell’Impero – protettore del potere temporale – esce una Francia ridimensionata. La Germania si afferma nel cuore dell’Europa a danno di due potenze di prima grandezza: la Francia e l’Impero asburgico, a vantaggiodel predominio germanico, che tanto inciderà sulle successive vicende della storia europea e mondiale del Novecento.
In questo nuovo scenario europeo gli assertori dell’unità d’Italia spingono il governo e il re a rompere gli indugi. Il 16 agosto cominciano i preparativi «per andare a Roma». Il 9 settembre l’inviato del governo,senatore conte Gustavo Ponza di San Martino,dopo uno scomodo viaggio in treno da Firenze, giunge a Roma; il 10 consegna due lettere, una al Papa e una al cardinale segretario di Stato Giacomo Antonelli: «Non potendo il governo contenere l’ardore delle aspirazioni nazionali e le agitazioni del partito detto di azione, è costretto a occupare Roma e il rimanente del suo territorio». In sostanza preannuncia l’invasione ma Pio IX non scende a patti. e sdegnosamente rifiuta. Scrisse «La Civiltà Cattolica»: «Il Papa, fermo nell’adempimento dei suoi sacri doveri e confidando pienamente nella Divina Provvidenza, respinse recisamente ogni proposta, dovendo conservare intatta la sua sovranità come gli era stata trasmessa dai predecessori». Il 12 settembre le truppe italiane entrano nello Stato Pontificio; il 14 raggiungono la periferia di Roma e intimano la resa ai difensori comandati da Kanzler. Il 19 settembre il cattolico Cadorna tenta, attraverso il barone Arnim von Suckow, di convincere il Papa ad aprire le porte. Il 20 all’alba ordina i bombardamenti e comanda l’attacco attraverso Porta Pia. Alle 10,55 è tutto finito. Il 2 ottobre il plebiscito (138.681 sì, 1.507 no) sancisce l’annessione di Roma e del Lazio al Regno d’Italia.
Il Pontefice denuncia «l’usurpazione sacrilega».Nell’enciclica «Respicientes ea» (1° novembre 1870) e nei documenti successivi in latino e in italiano («Ubi nos»,1871; «Protesta al governo italiano», 1872; «Etsi multa luctuosa»,1873; «Mirabilisilla», 1875)definisce l’occupazione «ingiusta, violenta, nulla e invalida, gran sacrilegio e la più grande ingiustizia [commessi] da un re cattolico senza provocazione»; denuncia il proprio «stato di cattività»; scomunica Vittorio Emanuele Il e quanti hanno collaborato all’usurpazione. Il 31 dicembre il re raggiunge Roma in visita privata con il pretesto di verificare i danni di un’alluvione del Tevere: «Finalmentjisuma, Finalmente ci siamo» trasformato dalle cronache cortigiane in «Ci siamoe ci resteremo». Il 22 gennaio 1871la Camera inizia a discutere il comportamento da adottare nei confronti del Pontefice e della Santa Sede.Con la «legge delle Guarentigie» (13 maggio 1871) l’Italia offre al Pontefice un risarcimento annuo di 3 milioni e 250 mila lire. Ma il cardinale Antonelli non vuole neppure vedere il documento di chi «ha spogliato il Papa dello Stato e della capitale» e Pio IX rifiuta la legge «unilaterale» perché dà in uso e non in proprietà il territorio vaticano; non assicura alla Chiesa indipendenza e libertà; considera il Papa un «suddito del Regno d’Italia»; gli impedisce la nomina dei vescovi; sopprime gli ordini religiosi e incamera i beni ecclesiastici.
La legge delle Guarentigie si ispira al principio «libera Chiesa in libero Stato»del conte Camillo Benso di Cavour. Queste garanzie prevedono: prerogative e poteri sovrani in base ai quali la persona del Papa è sacra e inviolabile; il diritto di mantenere guardie armate; il libero esercizio del potere spirituale; la piena libertà di comunicare in Italia e all’estero e di inviare e ricevere ambasciatori; l’indipendenza del clero da ogni controllo e il suo diritto di riunione; l’abolizione del giuramentodei vescovi al re; la rendita annua di 750 mila lire; l’extraterritorialità e l’immunità delle residenze (Vaticano, Laterano, Castel Gandolfo) e una dotazione di3.225.000 lire.Il Pontefice, il 15 maggio 1871 respinge sdegnosamente la «legge delle Guarentigie» con l’enciclica «Ubi nos» e si dichiara «prigioniero politico» del Regno d’Italia; ribadisce la stretta necessità per la Santa Sede che le sia garantito il potere temporale, per potere assolvere in piena indipendenza la propria missione. Il 1° luglio 1871 la capitale Regno d’Italia è trasferita a Roma, dopo essere stata quattro anni a Torino (1861-1864) e sei anni (1865-1871) a Firenze. Il 6 maggio1873la Camera discute la soppressione degli ordini religiosi e la liquidazione dei loro beni per la provincia di Roma, così come è già avvenuto in Italia: 472 conventi sono chiusi e rendono allo Stato italiano 8 milioni di lire. Una spogliazione iniziata in Piemonte con il Risorgimento.